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Crisi economica e democrazie in Europa

Dopo il periodo di grande sviluppo e riforme degli anni sessanta, gli anni ‘70 e ‘80 costituirono per l’Europa occidentale un periodo di grande crisi economica e di evoluzione politica in senso conservatore. In molti paesi europei le sinistre al governo subirono sconfitte elettorali che contribuirono a dare il via liberava partiti di centro e di centro destra. Tra i casi più importanti, ciò accade in Gran Bretagna nel 1979, in Francia nel 1986, nella Germania federale nel 1982, in cui Austria nel 1983, e persino in Svezia, patria del Welfare state europeo, dove nel 1976 i socialdemocratici videro restarsi una lunga ininterrotta stagione di governo iniziata nel 1932. Alla base del declino del modello socialdemocratico vi era la crisi economica esplosa nel 1973, che ridusse immagini di praticabilità e la stessa credibilità dello stato sociale. Tuttavia vi giocarono ruolo importante anche altri fattori, tra i quali ricordiamo: la crisi delle ideologie collettive, il ritorno alla dimensione individuale privata e la crescente difficoltà dei grandi partiti a rappresentare i bisogni reali e a mantenere saldo il rapporto fra sistema politico e società civile.

Proprio in questa fase si affermarono movimenti nati al di fuori dei partiti tradizionali e talvolta in contrapposizione con essi, come quello ecologista dei Verdi, oppure nuove forze politiche legate a interessi e identità regionali e locali.

Nel corso di questi due decenni si verificarono grandi passi avanti per quanto concerne il processo di integrazione europea: “L’Europa dei dodici” - con l’entrata della Gran Bretagna, Danimarca e Irlanda (1973), Grecia (1981) e Spagna e Portogallo (1986) nella Cee -  riuscì ad acquisire un livello di ricchezza tale da divenire analogo a quello degli Stati Uniti.

Il 1979 è considerato un anno fondamentale, in quanto vi fu l’elezione del primo parlamento europeo e la successiva creazione di un Sistema monetario europeo, al fine di fronteggiare l’instabilità economica. Questi due eventi segnarono la lenta avanzata, pur fra difficoltà e impedimenti vari, dell’Europa unita.

In Gran Bretagna, nel corso degli anni ‘70, si alternarono al governo conservatori e laburisti; i primi salirono al potere con Edward Heath dal 1970 al 1974, per poi essere nuovamente seguiti dai laburisti. A causa della crisi economica del 1973 che investì fortemente l’economia britannica, entrambi i gruppi politici dovettero affrontare un decennio di gravi difficoltà, tra cui il ritardo tecnologico, il problema del deficit pubblico e il peggioramento dell’inflazione che nel 1975 raggiunse il massimo valore storico del 24,5%, a causa di una crescente disoccupazione. Al contempo, la questione irlandese rimaneva tesa e irrisolta.

Nel 1979, la vittoria elettorale dei conservatori determinò l’elezione a primo ministro di Margaret Thatcher, prima donna capo di governo in Europa che attuò una politica rigidamente liberista, ridimensionando il ruolo dei sindacati dei lavoratori, attuando un programma di difesa della sterlina che le fece guadagnare ampio sostegno da parte del ceto medio, e riducendo la spesa sociale specialmente nei settori della sanità e dell’istruzione. Obiettivo però, questo, che non riuscì totalmente a raggiungere.

In compenso, Thatcher riuscì a ridare prestigio all’immagine tradizionale dell’Inghilterra in politica estera, conquistando le isole Malvinas che erano state da sempre oggetto di contesa tra Londra e Buenos Aires. In politica interna, la ministra riuscì ad ottenere un consenso tale da riuscire a farle ricoprire tale ruolo in parlamento sino al 1990. Nel corso del suo governo, infatti, si assistette ad una notevole riduzione dell’inflazione e di una notevole ripresa produttiva. Nel momento dell’elezione del conservatore John Major, lasciò tuttavia in eredità a quest’ultimo forti squilibri regionali ed un aumento dell’emarginazione sociale e della disoccupazione. Gli anni ‘70, dal punto di vista sociale, sono inoltre stati teatro di diverse lotte studentesche, che furono alla base definire “la rivoluzione sociale”, partirono sul finire degli anni ’60 (1968), mettendo sotto accusa l’autoritarismo scolastico.

In Francia, così come stava accadendo in Inghilterra, si alternarono nel corso degli anni ‘70 e ‘80 diversi partiti politici: a presidenti gollisti o vicini al gollismo (che ricordiamo essere una dottrina) impegnata nel culto, talvolta esasperato, dei valori nazionali e intesa a diminuire o controllare il potere dei partiti politici, ispirata dalla politica di Ch. De Gaulle) si contrapponevano i socialisti di François Mitterrand e i comunisti di Georges Marchais, i quali si allearono in un’Unione delle sinistre al fine di creare un’alternativa politica al gollismo.

Tale operazione sortì gli effetti sperati, in quanto nel 1981 Mitterrand venne eletto presidente della repubblica, e il suo primo atto fu quello di guidare il governo con la partecipazione dei comunisti.

Il nuovo governo delle sinistre riuscì a condurre una politica economica riformatrice e basata sull’intervento dello Stato; intervento, questo, che si sarebbe manifestato tramite l’aumento di salari, riduzione dell’orario di lavoro e anticipo a 60 anni dell’età pensionabile). Tale progetto si rivelò tuttavia fallimentare a partire dal 1984, anno in cui - a causa dell’aumento del debito pubblico e della svalutazione del Franco - Mitterrand si vide costretto ad attuare una politica di contenimento della spesa pubblica e dei salari che fu la causa dell’uscita dei comunisti dal governo. Dal punto di vista tecnologico la Francia incominciò ad attrezzarsi, specialmente nei nuovi settori dell’elettronica e dell’informatica.

Le elezioni del 1986 determinarono una perdita di voti da parte dei socialisti a favore dei gollisti, guidati da Chirac, e con i quali Mitterrand fu costretto a coabitare, dovendo però non solo fronteggiare la loro opposizione, ma anche il movimento xenofobo del fronte nazionale di Jean Marine Le Pen.

Nella Repubblica federale tedesca, i governi socialdemocratici di Willy Brandt e, successivamente, di Helmut Schmidt (il quale dovette affrontare un’ondata di terrorismo che il cancelliere non esitò a stroncare servendosi di misure repressione) condussero invece una politica di espansione dello stato sociale in accordo con i sindacati; ciò fu possibile specialmente grazie al fatto che la crisi petrolifera ebbe sull’economia tedesca effetti meno devastanti rispetto agli altri paesi europei.

I liberali si trovavano tuttavia in disaccordo con il disegno politico dei socialdemocratici; pertanto, nel 1983, essi diedero vita ad un’alleanza con i Cristiano-democratici che determinò l’elezione a cancelliere di Helmut Kohl, il quale prestò maggiore attenzione al controllo della spesa pubblica, senza tuttavia smantellare lo stato sociale, mentre gli aumenti salariali vennero mantenuti entro limiti compatibili con il contenimento dell’inflazione, non rischiando comunque di mettere in discussione il patto sociale tra stato, imprese e lavoratori che stava alla base della società tedesca.

Tra gli eventi più memorabili degli anni ‘70, sicuramente è bene ricordare il ritorno alla democrazia di Grecia, Portogallo e Spagna.

In Grecia il  governo dei colonnelli, che costituiva un regime di destra autoritario e repressivo, cadde nel 1974 al seguito del fallito tentativo di conquistare Cipro; a seguito di un referendum, la Grecia divenne così una repubblica democratica.

Il 25 aprile 1974 il Portogallo riuscì a liberarsi del regime autoritario di Salazar tramite la cosiddetta “rivoluzione dei garofani” (così definita poichè incruenta) ai danni del successore di Salazar, Caetano, e i cui protagonisti furono degli ufficiali affiancati dalle sinistre. Dopo un periodo di instabilità, passò al governo Mario Soares, presidente dal 1986 al 1996.

In Spagna, infine, nel passaggio dalla dittatura franchista alla democrazia, un ruolo importante ebbe il sovrano Juan Carlos di Borbone (la monarchia era stata restaurata da Franco nel 1947), che seppe evitare lacerazioni e conflitti (un colpo di stato militare di destra venne ad esempio sventato dal fermo atteggiamento del sovrano). I partiti e i sindacati vennero riorganizzati e vennero indette elezioni, che si conclusero nel 1978 con l’approvazione della Costituzione democratica.

Nella seconda metà degli anni ‘60 ripresero le lotte sindacali che culminarono nel cosiddetto “autunno caldo” del 1969. Le motivazioni delle tensioni sociali erano varie: il ritmo di lavoro divenuto più serrato, i salari troppo bassi, la mancanza di strutture sanitarie efficienti e soprattutto di abitazioni popolari ancor più necessarie per il fatto che in quegli anni c’era stato un massiccio afflusso di operai dal sud verso le fabbriche del nord Italia. Fortunatamente, i sindacati riuscirono a contenere la tensione e nell’ottobre 1969 riuscirono a firmare con imprenditori i contratti nazionali che garantivano la settimana lavorativa di 40 ore e riconoscevano i consigli di azienda e le assemblee di fabbrica. Nel 1970, a completamento delle riforme sociali, fu emanato lo Statuto dei lavoratori che riduceva eventuali comportamenti antidemocratici da parte degli imprenditori e per effettuare un licenziamento si richiedeva l’esistenza della “giusta causa”. Nello stesso anno, il Parlamento approva la legge sul divorzio, nonostante il voto contrario della DC, introduce le Regioni e misure a favore della maternità. Purtroppo nello stesso periodo si fece avanti la “strategia della tensione” che creò preoccupazione nei cittadini.
Si trattava di forze reazionarie che seminavano panico nella popolazione con lo scopo di preparare una svolta autoritaria. Il progetto, attuato da forze di ispirazione neofascista e da una parte dei servizi segreti si concretizzò con la strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969 dove fu fatto esplodere un ordigno all’interno della Banca nazionale per l’agricoltura.

A seguito di questa strage ci furono gli anni di piombo, in cui la vita del paese italiano fu segnata dal terrorismo. Per comprendere il fenomeno, che insanguinò l'Italia provocando centinaia di morti, occorre tener presente- oltre che le tensioni interne, prodotte dalla crisi economica- lo scenario internazionale dell'epoca. nella guerra fredda, l'Italia ricopriva un ruolo delicato poiché si trovava sulla linea di frontiera tra i paesi appartenenti al patto atlantico e quelli dell'est, Infatti nel corso del tempo in seguito a delle indagini si è scoperto che spesso i mandanti di questi atti terroristici fossero proprio esponenti politici appartenenti alle due potenze.

Altre stragi furono compiute, facendo esplodere una bomba in piazza della Loggia a Brescia, sul treno Italicus nel 1974 e nella sala d’aspetto della stazione di Bologna, nel 1980. Inizialmente la Digos individuò i responsabili negli anarchici, ma da alcuni indizi era chiaro che si trattava di terrorismo nero, cioè voluto dall’estrema destra. Il clima di insicurezza che derivò da tutti questi fatti, portarono ad un “terrorismo rosso”, cioè a piccoli gruppi di estrema sinistra che pensavo che fosse giunto il momento di distruggere la società e lo stato capitalista. Fra queste organizzazioni terroristiche la più attiva fu quella delle Brigate rosse. Dopo una serie di atti dimostrativi come attentati incendiari ad aziende industriali o sequestri di magistrati o di dirigenti, passarono a compiere vari omicidi. Fra il 1976 e il 1982, le Brigate rosse provocarono più di 160 vittime.
 

Gli attacchi terroristici delle brigate rosse nel corso degli anni sono state numerose, ma  l'episodio cardine nella storia delle Brigate Rosse risale al 16 marzo 1978,il giorno in cui si sarebbe dovuto insediare il governo  nato dal ‘compromesso storico' quando l’onorevole Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana, venne sequestrato e gli uomini della sua scorta furono uccisi. Aldo Moro, politico pugliese, stava lavorando alla costituzione del Governo stringendo alleanza con il Partito Comunista. L’intero Paese entrò in un vortice di tensione nei giorni che seguirono il sequestro. Nonostante le accurate ricerche, non si riuscì mai a trovare il covo dei brigatisti nel quale Moro era rinchiuso. Intanto il prigioniero, tramite appelli inviati ai giornali, chiedeva al Partito e allo Stato di trattare con i brigatisti per il suo rilascio. Lo Stato Italiano però non volle scendere a compromessi, quindi rifiutò categoricamente qualsiasi trattativa (solo il Partito socialista si mostrò disposto a trattare con i brigatisti per salvare lo statista democristiano). Nei suoi scritti dalla prigionia Aldo Moro lanciò pesanti accuse ai dirigenti del Partito, agli ex amici, alla Santa Sede, per aver scelto la strada della fermezza e dell’intransigenza, piuttosto che attivarsi per la sua liberazione. Le BR inviarono un comunicato il 18 aprile, nel quale invitavano gli inquirenti a cercare il corpo senza vita di Aldo Moro nel lago Duchessa, ma le ricerche non portarono alcun risultato.
Il 9 maggio, invece, le BR comunicarono per telefono all’amico di Aldo Moro, il professor Franco Tritto, che il cadavere del politico era rinchiuso nel bagagliaio di una Renault 4 rossa, in via Caetani a Roma. Purtroppo tale avvertimento fu vero. Le immagini del corpo massacrato di Moro entrarono nelle case degli italiani tramite le edizioni straordinarie del Tg, suscitando orrore e sconcerto. Il barbaro assassinio di Aldo Moro dimostrò che la violenza dei brigatisti non conosceva limiti, e che bisognava fare qualcosa per impedire che prendesse il sopravvento.

L’uccisione di Moro segnò profondamente la storia italiana del dopoguerra. Con il suo assassinio si chiuse definitivamente la stagione del compromesso storico e, con esso, la formula dei governi di solidarietà nazionale.

Il progetto di alleanza con il PCI non era ben visto dai partner internazionali dell'Italia. Negli anni precedenti la sua uccisione, Aldo Moro cercò di fornire rassicurazioni a Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Germania Ovest sulla fedeltà dell'Italia all'Alleanza Atlantica anche in seguito a un eventuale ingresso del PCI al governo. Ma i Capi di Stato riuniti a Portorico  gli prospettarono la probabile perdita di aiuti internazionali se il PCI fosse entrato nel Governo.

Nel 1980 la DC si riunì a congresso: furono le prime assise dopo la morte di Aldo Moro. Prevalse una linea anti-comunista. Accadde proprio ciò che Moro aveva previsto nelle sue lettere durante la prigionia: con lui fuori gioco nessuno dei leader  DC che guidarono il partito volle mantenere rapporto con i leader comunisti.

Lo Stato sconfisse le BR senza ricorrere a leggi di emergenza e senza mediazioni politiche, ma istituendo la legge sui pentiti e i dissociati(Un collaboratore di giustizia, in diritto, è un soggetto che trovandosi in particolari situazioni di conoscenza di un fenomeno criminale, decide di collaborare con l'autorità giudiziaria.) Furono istruiti regolari processi, con la presenza di avvocati in difesa dei brigatisti e la previsione dei gradi di appello. I brigatisti rifiutarono la difesa e il processo, proclamandosi prigionieri politici (Un prigioniero politico è una persona detenuta, o agli arresti domiciliari, in quanto le sue idee sono considerate una minaccia o una sfida all'autorità dello Stato. Per prigioniero politico si può anche intendere una persona alla quale sia stata negata la cauzione, o cui sia stata negata la libertà condizionale, quando queste sarebbero state ragionevolmente concesse ad un imputato accusato di un crimine simile) e invocando il diritto di asilo (Il diritto di asilo è un'antica nozione giuridica, in base alla quale una persona perseguitata nel suo paese d'origine può essere protetta da un'altra autorità sovrana, un paese straniero, o un santuario religioso) Mario Moretti constatò che gran parte delle loro aspettative non ebbe successo, aggiungendo che quell'esperienza si era esaurita ed era irripetibile.

In pochi decenni, tra la fine degli anni 40 agli anni 70, si dispiegò il processo della decolonizzazione, ovvero la liberazione dal dominio coloniale dei popoli asiatici e africani. Le cause principali di questo fenomeno furono la maturazione, nei paesi colonizzati, Di classi dirigenti nazionaliste, spesso formatesi nelle università occidentali; l’indebolimento militare e politico delle potenze europee durante e dopo il conflitto mondiale; il nuovo assetto bipolare del mondo, in cui Europa aveva per tutto la propria egemonia. La decolonizzazione ebbe in alcuni casi carattere pacifico, in altri implicò forti movimenti di massa, che talvolta assunsero forma violenta e dettero origine avete e proprie guerre di liberazione. Nella maggior parte dei casi, l’indipendenza politica così raggiunta dai popoli ex coloniali non si accompagnò a una reale indipendenza economica e allo sviluppo.

Dopo l’indipendenza dell’India, proclamata il 15 agosto 1947, la divisione del paese in due parti, il Pakistan a maggioranza musulmana e l’unione indiana a maggioranza indù vista, diede luogo a massacri e migrazioni bibliche. Sotto la guida di Nehru e poi della figlia di questi, Indira Gandhi, l’India conobbe una intesa modernizzazione sia politica, acquisendo i caratteri fondamentali di una democrazia parlamentare federale, sia economica, grazie a un sistema economico misto fra pianificazione pubblica e iniziativa privata.Si avviò così l’industrializzazione del paese e si raggiunse l’autosufficienza alimentare, anche se con profonde disuguaglianze e perduranti ritardi storici.Nel sud-est asiatico, area di grande importanza strategica nella guerra fredda, la decolonizzazione ebbe un corso particolarmente turbolento in Indocina, dove fino al 1975 vi fu un duro conflitto che vide opporsi ai nord vietnamiti i francesi prima e gli americani poi. Dopo la conclusione della guerra, in Vietnam ma si instaurò una dura dittatura comunista, mentre la Cambogia fu sconvolta dalla genocidio attuato dai Khmer rossi, saliti al potere nel 1975 con Pol Pot. . Solo negli anni 90 l’Indocina ha potuto avviare un processo di parziale normalizzazione.

Una radicale riforma agraria fu attuata nel 1950 dal nuovo regime comunista della Cina popolare, che si fondava sulla dittatura del partito comunista e su intensa opera di mobilitazione delle masse e. A partire dal 1953 fu avviata una pianificazione dell’economia sul modello sovietico. Nel 1958 Mao lanciò il grande balzo in avanti, uno utopistico programma di crescita agricola e industriale basato sulle comuni popolari e sfociato in una spaventosa carestia.Nel 1965 Mao e l’ala radicale del partito lanciarono una nuova grande mobilitazione di massa, la rivoluzione culturale, che causò violenze, anarchia, collasso della vita produttiva. Nel frattempo, erano però maturate la rottura con l’unione sovietica e la ricerca di una nuova collocazione internazionale da parte della Cina, che si aprì all’Occidente fino a venire ammessa all’ONU nel 1971. La morte di Mao nel 1976 apri in Cina un processo di the match Is azione che, pur tra molte difficoltà, vide i riformatori di Deng Xiaoping avviare una profonda trasformazione economica del paese. Queste riforme diedero grande impulso all’economia cinese, affianco al settore pubblico, guidato dalla pianificazione socialista, un settore di economia privata di mercato caratterizzato da grande dinamismo. Il gruppo dirigente cinese guidò la modernizzazione badando a conservare il dominio del partito comunista. Il, non si ebbe dunque alcuna liberalizzazione  politica, come dimostrò la riparazione del movimento di protesta attuata dal governo cinese nel 1989 nella piazza Tien’anmen di Pechino.

 

 

La decolonizzazione dell’Africa Sab SAR Jana è stata un processo molto rapido, durato poco più di due decenni, che ha avuto il suo acme negli anni 60.a seguito uno svolgimento talora non conflittuale, come nella prevalenza delle colonie inglesi, dall’altra invece aspro e sanguinoso.a portato con sé e l’indipendenza politica degli stati africani, ma anche tensioni, conflitti, guerre civili, in cui hanno giocato un ruolo decisivo le ingerenze dei governi ex coloniali e delle imprese multinazionali interessate allo sfruttamento delle ricchezze del continente.Positiva è stata tuttavia l’evoluzione di alcuni Stati, fra i quali la Repubblica sudafricana, che riuscita a superare, grazie alla lotta guidata da Nelson Mandela, il regime di segregazione razziale dell’apartheid.

All’indipendenza politica non hanno fatto seguito in Africa né sviluppo economico né pace.Gli Stati africani, da un lato sono precipitati in un circolo vizioso della povertà, dovuto alla sovrappopolazione, all’arretratezza tecnologica e della mancanza di capitali; dall’altro, hanno conosciuto una grave instabilità politica, con dittature che hanno presso e ho primo non le popolazioni, e guerre civili che hanno insanguinato la storia recente del continente. La conflittualità etnica e tribale che ha spesso caratterizzato tali guerre nasce dall’inconsistenza di stati “creati a tavolino”durante l’età dell’imperialismo e dalla debolezza delle classi dirigenti post coloniali. Essa è stata utilizzata politicamente da dittatori autoctoni ma anche dalle potenze straniere.      

La seconda guerra mondiale favorì lo sviluppo dell’America latina, che grazie ai proventi delle esportazioni poté avviare una fase di modernizzazione economico sociale, anche se gravata da pesanti tare storiche, quali lo sviluppo limitato dell’industria leggera, la dipendenza dalle esportazioni, il dominio della grande proprietà terriera, fortissime disuguaglianze sociali, grande instabilità politica. Dopo la fase dei regimi populisti, le contraddizioni sociali e l’esempio della rivoluzione cubana del 1959 radicalizzarono la lotta politica: da un lato si svilupparono movimenti di guerriglia rurale e urbana, dall’altro le oligarchie i ceti medi si aggregarono intorno a dittature militari.Spesso queste dittature erano appoggiate dagli Stati Uniti, decisi a impedire l’affermazione dei regimi socialisti o comunisti, sul modello di Cuba: così accade in Cile nel 1973 quando il socialista Allende fu rovesciato dal grande Pinochet e in starò una brutale dittatura.Se gli anni 70 furono caratterizzati in America latina dalla prevalere di dittature spesso sanguinarie, gli anni 80 videro un generale ritorno alla democrazia, con l’instaurazione di regimi parlamentari è una maggiore garanzia delle libertà civili e politiche.Il perdurante potere dei militari e le grandi difficoltà economiche e sociali risero tuttavia estremamente instabili le nuove democrazie latino- americane.Come in America latina, anche nell’America centrale gli Stati Uniti giocarono un ruolo rilevante, favorendo l’evoluzione democratica dei molti regimi ma anche opponendosi a quelli che ritenevano pericolosi per la stabilità politica dell’aria come nel caso del Nicaragua.

All’inizio degli anni 80, l’Urss era un gigante fragile e malato, Con un’economia stagnante, un grave ritardo tecnologico, un livello di autoritarismo e chiusura politica ormai intollerabile.Salito al potere nel 1985, il nuovo leader sovietico Gorbačëv, lanciò le parole d’ordine della perestrojka e della glasnot. Nella sua visione, era necessaria una democratizzazione del regime e contemporaneamente l’introduzione di una maggiore libertà economica per rivitalizzare la società sovietica.A ciò si sarebbe dovuta accompagnare una rinuncia alla politica di potenza, che assorbiva gran parte delle risorse del paese. Perciò Gorbačëv  ritirò le truppe dall’Afghanistan, ridusse gli effetti attivi delle forze armate, avviò con gli Stati uniti una serie di contratti accordi per il disarmo nucleare che fecero fare un balzo in avanti al processo di distensione e offrendo al mondo una nuova immagine dell’Urss .

Gorbačëv disimpegnò l’ urss anche dalla ruolo di guardiano delle democrazie popolari, annunciando la fine di ogni ingerenza nell’Europa orientale. Questo fece esplodere le contraddizioni economiche e politiche di quei governi e diede forza ai gruppi di opposizione. Nel giro di pochi anni i regimi dell’Europa orientale furono investiti da rivoluzioni democratiche, in qualche caso guidate dagli stessi dirigenti comunisti riformatori. In Polonia un ruolo di primo piano fu svolto dal sindacato libero Solidarność, costituitosi  nel 1980 e guidato da Lech Walsea.In Romania si ebbe l’unico esempio di rivoluzione democratica cruenta, con l’esecuzione del leader socialista Nicolae Ceausescu  della moglie Elena. In Ungheria e Bulgaria la rivoluzione fu a assecondata dagli stessi esponenti riformisti del partito comunista al potere, ed ebbe caratteri graduali e pianifichi. In Cecoslovacchia il movimento rivoluzionario, sfuggito al controllo del partito comunista, ebbe come punto di riferimento il gruppo charta 77 e lo storico leader della primavera di Praga Alexander Dubček. Poco dopo il ritorno dalla democrazia, nel 1993, il paese si divise in Repubblica ceca e Slovacchia. In Germania, dopo la caduta del muro di Berlino i, il 9 novembre 1989 il cancelliere della Germania federale kohl condusse importo in tempi brevissimi un’accelerata riunificazione delle due Germania , che decretava la fine del lungo dopo guerra.

In politica interna, Gorbačëv democratizzò  il sistema sovietico, abolendo la censura, premettendo il dibattito politico, introducendo le prime libere elezioni, sia pur parziale. Falli però completamente in economia, perché il tentato compromesso tra libera iniziativa e pianificazione e culturale provocò un dissesto economico è una peggioramento delle condizioni di vita.Il fallimento economico alle no a Gorbačëv il consenso popolare, dando fiato ai suoi oppositori, sia i conservatori del partito, sia i radicali democratici. Nel frattempo il paese si dirigeva sotto la spinta delle rivoluzioni rivendicazioni di indipendenza avanzate da molte repubbliche, a cominciare da quelle baltiche. Dopo un fallito colpo di stato dei conservatori nell’estate 1991, Gorbačëv  prese atto della situazione e si dimise mentre l’Urss cessava di esistere.

Jean Francois Lyotard nacque a Versailles il 10 agosto 1924; studiò a Sorbonne, città in cui ottenne l’abilitazione a filosofia nel ‘50. Per due anni insegnò in un liceo maschile in Algeria e, grazie all’esperienza vissuta nella colonia francese, giunse ad interessarsi alla situazione politica delle colonie, maturando posizioni politiche di tipo socialista; nel 1954 si unì al gruppo “socialismo o barbarie” e, dieci anni più tardi, divenne uno dei fondatori del movimento “potere operaio”. Nel frattempo diede alla stampa il suo primo scritto filosofico intitolato “la fenomenologia”; si trattava di una breve analisi su Husserl e Ponty che contribuì ad allargare gli orizzonti della riflessione alle scienze umane, alla psicoanalisi e al marxismo.

Egli si discostò dal socialismo rivoluzionario gradualmente, ritornando a dedicarsi all’insegnamento in Francia. Nel ‘71 ottenne il dottorato e, l’anno successivo, venne nominato docente a Parigi; fu questo un periodo di grande produzione durante il quale egli pubblicò il suo scritto più famoso intitolato “la condizione post-moderna” (pubblicato nell’autunno del 1979) che segnò la nascita del movimento post-moderno.

È bene ricordare che movimenti come l’illuminismo e lo storicismo si erano basati sulla convinzione che il progresso scientifico e conoscitivo dell’umanità potessero condurre ad uno sviluppo e ad un’emancipazione senza fine.

Nel 900’ tale ideale venne distrutto in seguito ai due conflitti mondiali, colpevoli di aver svuotato l’idea di progresso del valore per cui l’essere moderno deve sempre tendere al meglio.

Con il post modernismo, si rinuncia pertanto al razionalismo e alla scesi modernistica, all’idea di una raffinatezza formale.

L’opera “La condizione post-moderna” (la cui trama mostrava  un rapporto al governo canadese in merito alla condizione del sapere nelle società avanzate) di Lyotard rappresentò pertanto una vera e propria rivoluzione filosofica, in quanto la tesi di fondo si fondava sull’idea che i grandi discorsi di legittimazione del sapere (idealismo e illuminismo) avessero perso legittimità nella grande società di massa. Questi grandi quadri di riferimento si erano ormai consumati, né furono sostituiti da costruzioni altrettanto forti e unitarie. La loro frantumazione tuttavia fece emergere la pluralità e le differenze del sapere e, contrariamente alle critiche tradizionali nei confronti della scienza, Lyotard non nutriva nostalgia per l'unità e la totalità perduta, bensì riconosceva la positività di ciò che è molteplice, frammentato, polimorfo e instabile. Egli riteneva, anzi, che non si trattasse soltanto di prendere atto di questo processo in corso, ma di contribuire alla sua affermazione, tramite lo smascheramento dell'inconsistenza di presunte unificazioni, la rottura dei canoni tradizionali. Lyotard è inoltre conosciuto, tra le altre cose, per aver coniato il fortunato termine di postmoderno al fine di definire l'epoca attuale; Tale termine designa uno sviluppo tecnologico e scientifico che ha delle ricadute immediate sulla vita quotidiana e sulla politica.

Il filosofo era inoltre esponente di un movimento che va sotto il nome di “post strutturalismo francese”, una corrente che riuniva quei pensatori, fioriti tra gli anni ‘60 e ‘70, che avevano elaborato una teoria per cui l’attività fondamentale del filosofo dovesse essere quella del genealogista Nietzchano, colui cioè che esercita la genealogia della morale al fine di analizzare i grandi discorsi.

È un movimento questo, pertanto, che non vede il sapere come necessariamente emancipativo o disinteressato; secondo Lyotard, infatti, esso è il frutto di pulsioni economiche (Marx), di pulsioni inconsce (Freud) o pulsioni derivate dalla volontà di potenza (Nietzsche).

Aldo Moro

La decolonizzazione

Il subcontinente indiano e il Sud-est asiatico

La Cina popolare

Il dramma dell'Africa

L'America latina

L'URSS e la svolta Gorbačëv

Jean Francois Lyotard

Piazza Fontana

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