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Pre-romanticismo

Pre-romanticismo

In questo percorso sarà esaminato uno degli aspetti più importanti riguardante il ruolo dell'intellettuale e delle riviste come centri di raccolta e di aggregazione degli intellettuali, come strumenti di orientamento teorico e di progettazione ideologica. In altri termini, le correnti della produzione filosofica, artistica e della critica, che nei vari campi hanno segnato la storia, hanno trovato nelle riviste sorte nei principali centri culturali del Paese, gli scenari più adatti al confronto delle idee.

L'intellettuale che ci viene mostrato è un uomo che, dall'epoca preromantica, con l'industrializzazione e l'ascesa della nuova classe sociale borghese, non riesce più a tenere saldo il suo ruolo e attraverserà un percorso che lo porteranno prima a sentirsi emarginato e, poi, come punto di incontro fondamentale tra politica e cultura.

Il percorso si estenderà su un'ampia fascia geografica e temporale, in tal modo sarà possibile sottolineare le somiglianze e le dissomiglianze tra i vari intellettuali - e riviste – sviluppatisi in determinati contesti.

Durante l’età che va dalla fine del 700 all’inizio dell’800 la figura dell’intellettuale viene a coincidere con l’eroe romantico. L’eroe romantico aveva il compito di mediare tra l’artista ed il contesto sociale. Il trionfo dei valori borghesi quali la mercificazione dell’arte, l’utile che sovrasta il dilettevole, portarono ad una declassazione della figura dell’intellettuale. L’intellettuale fu emarginato dalla propria classe di appartenenza e si sentì tanto tradito quanto frustrato da tale condizione.

L’intellettuale attraverso la letteratura

Il conflitto inizia a presentarsi con l’opera di Rousseau,

NUOVA ELOISA in cui l’eroe è un’anima sensibile,

diverso dagli uomini comuni, ma se da un lato è una cosa

positiva perché eleva al di sopra degli uomini comuni, dall’altro è una condanna perché costringe l’intellettuale ad isolarsi.

Questo conflitto si trasforma in una frustrazione sentimentale, a causa dell’impossibilità dell’intellettuale di ottenere l’oggetto amato.

Un altro esempio è sicuramente l’opera di Goethe ‘i dolori del giovane Werther’ in cui però l’intellettuale è in conflitto con la sua stessa classe sociale, la borghesia. Nell’opera sono presenti sia la figura dell’intellettuale Werther, sia la figura del Borghese Albert.  Anche qui come nell’opera di Rousseau, l’infelicità dell’intellettuale oltre al non potersi inserire all’interno della sua classe sociale, è dovuto all’impossibilità di poter stare con la donna amata. Werther troverà come unica soluzione per evadere dalla sofferenza il suicidio.

Un conflitto in parte analogo lo troviamo nei Masnadieri di Schiller in cui Karl Moor, si sente limitato dalla società borghese, ma a differenza di Werther non troverà soluzione nel suicidio ma nella rivolta contro la società e Dio. Ma questa rivolta è comunque destinata ad una sconfitta, poiché una volta resosi conto dell’errore commesso anche l’eroe schilleriano tenterà l’autodistruzione.

Anche in Italia Foscolo subisce le influenze goethiane e scrive la sua opera Le ultime lettere di Jacopo Ortis proprio sulla scia dell’opera dell’autore tedesco. Ortis, non solo non potrà ottenere la donna amata, ma la gravante principale sarà che in lui non c’era lo scontro con la classe sociale d’appartenenza bensì la mancanza di un tessuto politico e sociale degno di questo nome. Infatti Ortis non aveva nemmeno una patria. Anche lui troverà la salvezza nel suicidio, ma non prima di aver cercato un’alternativa nelle illusioni e nei miti.

L’immagine dell’intellettuale senza patria viene riproposta nei sonetti. L’eroe è condannato ad una condizione di esilio e rimpiange la sepoltura illagrimata, in quanto non può tornare nel suo paese d’origine.

Una figura diversa di intellettuale viene proposta nell’opera all’amica risanata in cui l’intellettuale assume una funzione sacrale. È destinato ad assicurare l’eternità della bellezza, essendo lui di origine greca, si era posto l’obbiettivo di riportare all’antico splendore e la bellezza della poesia greca anche nella cultura italiana.

Invece nei sepolcri Foscolo propone al poeta una funzione diversa, civile e politica. Il testo è diviso in 4 parti, ogni parte corrisponde ad un poeta. La prima parte parla di Parini, che viene elogiato come massimo poeta civile. Nella seconda parte troviamo Foscolo stesso che si ritiene come eroe perseguitato da una sorte avversa. Nella terza parte c’è Alfieri che è ritenuto un profetico esaltatore del riscatto nazionale. Ed infine nell’ultima parte troviamo Omero in cui si comprende l’essenza dei Sepolcri, poiché egli canta le memorie di un intero popolo, consacrando le glorie del passato, ma ne canta anche le sconfitte destando compassione e solidarietà.

De Chirico è l’ultima figura dell’intellettuale presentata da Foscolo, ma l’intellettuale è completamente diverso da quello precedentemente presentato perché avendo un’età maggiore egli si mostra più distaccato, e lucido di Ortis.

Romanticismo europeo e americano

In Germania, il romanticismo sarà introdotto dai fratelli

Schlegel e da tutti gli intellettuali della rivista dell’

Atheneum. Essa fu pubblicata per soli due anni dal 1798 al

1800. Facevano parte di questa rivista, oltre ai fratelli Schlegel, anche Tieck, Schleirmacher, Novalis e Schelling, i quali intervenivano sulla scena letteraria e filosofica al fine di operare una trasformazione radicale.

Il testo più importante riguardante la questione sul romanticismo è Il dialogo sulla poesia in cui veniva presentata una contrapposizione tra poesia ingenua e poesia sentimentale (poesia degli antichi e poesia dei moderni).

La seconda si distingue dalla prima perché è caratterizzata dalla perdita del rapporto con la natura a causa della civilizzazione e industrializzazione. Questa separazione viene avvertita come felicità perduta.

 L’opera che meglio riuscì a riprendere la figura dell’intellettuale romantico fu quella presentata sempre da Goethe, il quale sperimentò abbastanza da riuscire ad essere sempre tra i più importanti espositori. Nella’opera del Faust, la figura dell’intellettuale si ribella drasticamente arrivando ai confini del normale.

 Faust fa un patto con il diavolo per giungere al sapere eterno, questo lo porterà però a seri problemi con la società e con Dio, dal quale si salverà solo grazie all’intervento della propria amata.

 Anche altri autori durante il romanticismo scrivono di ‘eroi’ che si ribellano contro il sistema nel quale sono confinati, ma col tempo vengono sopraffatti dalla consapevolezza della gravità delle loro azioni e vengono sopraffatti dai sensi di colpa.

Tra tutti possiamo trovare Frankenstein di Mary Shelly, L’Albatros di Coleridge, il Corsaro di Byron finendo con Melville e il suo Capitano Achab. L’unico eroe che non viene afflitto dai sensi di colpa è Frankenstein che vede nella trasgressione uno slancio impetuoso di energia che può distruggere i vincoli.

Una proiezione dissimulata dell’esclusione dell’intellettuale viene proposta da Victor Hugo con Notre Dame De Paris in cui l’intellettuale si identifica in Quasimodo che nonostante i suoi pensieri e sentimenti nobili, viene ripudiato per il suo aspetto fisico, e per la sua diversità, e gli viene preclusa la possibilità dell’amore.

Baudelaire tratta la declassazione dell’artista in modo molto preciso. Nel suo poemetto Perdita dell’aureola spiega come di fatto l’intellettuale abbia perso la sua dignità sacrale della bellezza e della poesia che gli garantiva un certo privilegio sociale. In termini più metaforici, Baudelaire paragona il poeta ad un Albatros che grazie alla sua nobiltà spirituale, può spaziare nei cieli dell’ideale, ma quando si mescola agli uomini comuni il suo privilegio lo rende inadatto e lo porta ad isolarsi o ad essere oggetto di scherno.

Romantiscismo europero
L'intellettuale nella letteratura

L'intellettuale italiano

L'intellettuale italiano

In Italia il romanticismo si presenta molto tardi ed anche abbastanza diverso rispetto a quello Europeo.

La data convenzionale fissata è quella del 1816 quando Madame De Staël scrisse su La Biblioteca italiana “Sulla maniera e la utilità delle traduzioni” da cui venne avviata una discussione tra sostenitori del romanticismo e quelli del classicismo.

Tale polemica si ritrasse fino al 1825 con l’intervento di Leopardi, a sostegno dell’amico classicista Pietro Giordano che non approvò affatto il punto di vista di Madame De Staël.

A sostegno di quest’ultima furono pubblicati diversi opuscoletti considerati manifesti del Romanticismo e il più importante fra questi fu “Lettera semiseria di Girostamo al suo figliolo” di Giovanni Berchet.

In Italia l’intellettuale deve affrontare un contesto storico ben diverso, ovvero quello dell’età risorgimentale, ed egli deve essere un punto di riferimento per gli uomini comuni, gli eroi infatti non si distaccano in modo così definitivo dal contesto sociale. L’unica figura vicina all’intellettuale ribelle che troviamo, è presente nella tragedia di Manzoni.  

Nell’Adelchi, l’intellettuale è combattuto tra aspirazioni, ideali e realtà.

 Risulta romantico il fascino che circonda la sconfitta dell’eroe. Ma Adelchi è un eroe passivo alla vita, non un ribelle, il suo rifiuto della società si incarna nella contemplazione della sua sconfitta. Viene considerato un eroe-vittima

L’intellettuale Manzoniano andrà a delinearsi nel tempo verso tendendo alla figura dell’uomo impegnato civilmente, ha la particolare caratteristica di non lasciarsi sopraffare dalle emozioni e trova la salvezza nella religione; ad esempio è iconica la figura dell’Innominato, una figura che per la maggior parte dell’opera dei promessi sposi è malvagio, che si convertirà al cristianesimo riuscendo a diventare un esempio per combattere il male della sua città.

Il titanismo di matrice Foscoliana e Alfieriana è presente all’interno delle Canzoni Civili di Leopardi, ad esempio nella canzone Ad Angelo mai in cui appare la figura di un eroe perseguitato dagli uomini, l’eroe vittima, al quale subito si contrappone l’eroe titanico, impersonato da Alfieri, la cui ira si abbatte sugli uomini attraverso l’utilizzo della parola poetica. Ma Leopardi nel suo pessimismo totale, capisce che ormai l’unica cosa destinata a trionfare sono solamente i valori borghesi.

L’isolazione del poeta appare chiaramente spiegata nella lirica Il passero solitario, l’io lirico non si unisce agli altri giovani per la festa, così come il passero si limita a cantare senza unirsi agli altri uccelli in volo. (Albatros Baudleriano).

Nella fase centrale della lirica Leopardiana gli atteggiamenti titanici scompaiono, facendo dedicare il poeta all’ <<arido vero>>. Ma il titanismo riaffiorerà nell’ultimo Leopardi, nella Ginestra nel quale  non sarà più individuale, ma collettivo, e il poeta innalza tutta l’umanità a scagliarsi contro la natura, poiché considerata non più un ente benigno ma un ente maligno.

La scapigliatura

Nel romanticismo italiano, la figura dell’intellettuale

ribelle, in netto contrasto con il contesto sociale era

mancata. Questa figura, fa la sua apparizione negli anni

postunitari, con l’avvento degli scapigliati.

Una chiara consapevolezza del fatto che l’avvento della società moderna, avesse messo in crisi la figura privilegiata dell’intellettuale, fu data dall’opera La strada ferrata di Emilio Praga, in cui spiega che l’unico modo che avrebbe avuto l’intellettuale per rientrare nei canoni della società nuova sarebbe stato, per l’artista dipingere carta da bollo e per il poeta cantare la fisica applicata.

Un profilo già più completo di quel tipo di individuo in conflitto con la società si trova nel testo di Cletto Arrighi La Scapigliatura in cui l’autore non si riferisce specificamente ad un gruppo di scrittori, ma coglie l’elemento fondamentale della condizione dell’artista.

Il ritratto proposto da Arrighi trova sfogo nell’opera di Praga Preludio che rappresenta quasi un manifesto poetico degli scapigliati, e insiste su una condizione di smarrimento, di perdita delle certezze e punti di riferimento. Di qui gli atteggiamenti provocatori, tra cui l’annegare nel <<fango>> e la tensione verso <<l’ideale>>.

Questo dualismo è ripreso da Arrigo Boito nella sua opera Dualismo. L’artista ama rappresentarsi in due figure il demone redento che sale verso il cielo e il cherubino caduto, dannato ad errare nel mondo. Da questa condizione deriva la voglia autodistruttiva dell’intellettuale.

La figura antagonistica degli scapigliati è quella dello scienziato. Se l’artista tende verso il bello, lo scienziato riproduce perfettamente la realtà. Ed è visto dagli scapigliati come portatore di morte.

La figura dell’intellettuale proposta da Carducci in Congedo è in contrapposizione con gli scapigliati. Cerca di distaccarsi dalla massificazione. Muove una critica ai poeti d’occasione. Cerca di impersonare l’intellettuale distaccato, ma soffre comunque di un senso di colpa per non riuscire ad entrare nei canoni della vita normale, essendo intellettualmente diverso.

La Scapigliatura

Il realismo 

Il realismo è un movimento che si è affermato nel diciannovesimo secolo, quando gli scrittori sentivano l’esigenza di rappresentare la realtà quotidiana, sia cogliendone in modo problematico i risvolti politici e sociali, sia inserendo personaggi in un preciso contesto storico e ambientale. Il realismo propone di riprodurre nelle opere letterarie la realtà, di “fotografare” la vita quotidiana senza commenti o giudizi. Il realismo ha successivamente dato vita a due correnti chiamate rispettivamente naturalismo in Francia e verismo in Italia.

Il naturalismo francese

In Francia analogamente agli scapigliati va via via

sviluppandosi la corrente del naturalismo. Mentre gli

scapigliati vedevano nella figura dello scienziato il

nemico, i Naturalisti vi vedevano la figura del nuovo

intellettuale, al quale dovevano ispirarsi per poter

esprimere in modo chiaro e realistico la realtà nella

quale vivevano. Il naturalismo porta al rifiuto di ogni

visione di tipo religioso, metafisico o idealistico e

alla convinzione che tutto il reale sia un gioco di forze materiali, fisiche, chimiche, biologiche, regolate da ferree leggi meccaniche spiegabili scientificamente. Modelli letterari della scuola naturalista furono i romanzieri realisti degli anni 50 e 60. Il massimo esponente fu Emile Zola. Egli sosteneva che il metodo sperimentale delle scienze applicate in un primo tempo ai corpi inanimati, poi ai corpi viventi, dovesse essere ora applicato anche alla sfera “spirituale”, agli atti intellettuali e passionali dell’uomo. Il presupposto di tali teorie è la convinzione che anche le qualità spirituali sono un dato di natura come quelle fisiche e che le leggi fisse regolino il funzionamento del corpo umano così come il pensiero i sentimenti. Il romanziere-scienziato, mediante l’esperimento, hai compito di individuarle. La scienza, sostiene Zola, non ha ancora trovato con certezza tutte le leggi che regolano la vita passionale e intellettuale dell’uomo. La conclusione a cui approda tutto il discorso di Zola è questa: come il fine della scienza sperimentale è far sì che l’uomo diventi padrone dei fenomeni per dominarli, così anche il fine del «romanzo sperimentale» è impadronirsi dei meccanismi psicologici per poi poterle dirigere. Il romanziere ha quindi un fine importantissimo: aiutare le scienze politiche ed economiche nel regolare la società ed eliminare le sue storture, fornendo ai legislatori ai politici gli strumenti per dirigere i fenomeni sociali.

Il naturalismo

Il verismo e Verga 

Verismo e Verga

Il verismo è una corrente letteraria che si è affermata nel corso dell'Ottocento in Italia grazie allo scrittore siciliano Giovanni Verga, il quale dedicava la sua attività letteraria alla scrittura di racconti di vita quotidiana, come per esempio le vicende dei pescatori siciliani attraverso il celeberrimo romanzo I Malavoglia, in cui si raccontano le vicende della famiglia Malavoglia di Aci Trezza.

Come il naturalismo francese, il verismo si fonda sui principi del movimento letterario positivista. Il verismo si basa sul vero, ovvero racconta eventi di vita quotidiana reali, così come sono. Il soggetto di cui spesso racconta il verismo sono le classi sociali meno abbienti, come per esempio quella contadina e si occupa anche dei loro diritti. Oltre a raccontare la verità, uno dei tratti tipici del verismo è per esempio quello del pessimismo, in quanto le opere veriste danno una concezione pessimistica della vita di tutti i giorni. Inoltre nelle opere veriste, gli autori non devono mai commentare la realtà, ma devono solo limitarsi a descriverla.

Giovanni Verga

Verga presentando i fatti nudi e crudi ha intenzione di

denunciare il materialismo di una società tutta orientata

al guadagno e ai piaceri . Ciò attraverso lo sviluppo di

due temi principali: la volontà di rappresentare

impietosamente le imperfezioni della società e la

consapevolezza della crisi della figura sociale dello

scrittore.
L’autore nei racconti cerca di sparire, di mimetizzarsi. Questo sforzo nello sparire è motivato con la profonda diversità e lontananza della vita di città dai ‘’sentimenti miti’’, semplici del mondo rurale. In altre parole la città è frenetica, falsa e ipocrita, soltanto la vita di campagna è reale, è mite e semplice. E per riuscire a comprendere le dinamiche sociali dei ‘’piccoli uomini’’ (uomini di poco conto, contadini, appartenenti al mondo rurale) è bene che l’intellettuale di città si ‘’faccia piccino’’ anche lui e guardi col microscopio le piccole cose che fanno battere i ‘’piccoli cuori’’.

Decadentismo 

Decadentismo

Verso la fine dell’800 con l’avvento dell’industrializzazione , il ruolo dell’intellettuale muta.

Avviene un processo di declassazione che comporta un sentimento di frustrazione  rispetto la società. L’intellettuale ritiene che la scienza  e la ragione non possano portare alla conoscenza dell’ignoto. Essi maturano una passività nei confronti della storia.

La poetica di questo periodo influenzerà la poesia simbolista , esaltando la musicalità della parola. Chiaro esempio ci è offerto dalla poetica di Verlaine , il quale usa un numero di sillabe dispari, per trasmettere il flusso ininterrotto dell’anima .

Un esempio  emblematico è il sonetto “ Vocali” di Rimbaud , nel quale la poesia assume un’assonanza magica capace di evocare attraverso i suoni , una serie di immagini, utilizzando la sinestesia . Un manifesto  dell’estetismo decadente è fornito da “ Il  ritratto di Dorian Gray”  di Oscar Wilde. Il bello viene ritenuto fine a se stesso, per cui l’arte è inutile, solo gli eletti dal gusto raffinato possono capirla e apprezzarla.

Gabriele D'Annunzio 

D’Annunzio è il maggior rappresentante dell’estetismo italiano.

Matura la sua figura di esteta , in risposta al processo di

declassazione dell’intellettuale. L’esteta si isola dalla società

contemporanea  rifugiandosi in un mondo fatto solo di arte e

bellezza. Per lui il verso è tutto , e l’arte diventa un culto.

Nonostante ciò questa figura è debole rispetto la potenza dell’

industrializzazione . L’estetismo costituisce solo una fase che verrà sostituita dalla fase superomistica ,nella quale D’Annunzio decide di riconquistare un ruolo attivo nella società.

Difatti parteciperà ad alcune imprese belliche , tra cui la più nota quella di Fiume.

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La sua poetica decadente viene espressa nel “fanciullino” che  

appare opposta rispetto al superuomo d’annunziano. Pascoli 

propone un atteggiamento contemplativo del mondo , appunto

come la visone di un fanciullo , cogliendo la poeticità degli

elementi più semplici e umili.

Al mito del fanciullino collega il mito dell’infanzia e del nido

familiare. Pascoli si rifugia in una  condizione fuori dal tempo ,

stabilendo un rapporto continuo con la natura. Di conseguenza si identifica in una figura realizzata, positiva e dominante del proprio mondo agricolo.

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È evidente lo scontro tra Svevo, intellettuale di provincia,  

con l’ambiente capitalista e consumistico, dal quale si sente

oppresso. La sua inettitudine a vivere scaturisce dalla sua

condizione di intellettuale. L’essere un intellettuale diviene

quasi una malattia , che lo divide dal partecipare attivamente

alla realtà. In senilità, analizzando la figura del protagonista

Emilio Brentani, è evidente la frustante condizione del piccolo

borghese  che cerca continuamente di mascherare, attraverso la figura del padre di famiglia, e dell’uomo in carriera, che costruisce il proprio destino. Il protagonista tenta continuamente di evadere da questa realtà, evadendo nel sogno.

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Anche in Pirandello è presente la crisi dell’intellettuale a

cavallo dei due secoli, ed è espressa nel suo personaggio

estraniato dalla realtà. In questo personaggio si proietta la

figura di Pirandello stesso , ovvero quella di intellettuale che

rifiuta ogni ruolo politico attivo. Si identifica con il ruolo del

forestiere della vita , rifiutando di stare alle condizioni di

quella società. Adotta una visione umoristica osservando i suoi simili intrappolati nella società. Anche la  sua figura di intellettuale si identifica con quella del forestiero della vita , adottando solo un ruolo di lucida conoscenza critica del reale.

 

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Nel primo Novecento il panorama  in cui si muovono gli  intellettuali  è molto variegato. Alcuni  vedono la letteratura come uno strumento utile,  capace  di  influenzare e modificare l’organizzazione sociale e politica del paese.  Essi attraverso  le riviste su cui  scrivono  si fanno portavoce delle diverse posizioni politiche , come nazionalismo e imperialismo, e discutono anche della  decisione da assumere rispetto  all’intervento o meno in guerra . Renato Serra  infatti, era tra coloro non favorevoli  alla guerra. Al contrario  Marinetti, i futuristi e Nino Oxilia  spingevano per un rinnovamento della realtà esistente attraverso la forza creativa. Altri  , come Gozzano  e Corazzini  rifiutano di investire la letteratura  di questo ruolo  e cantano le sofferenze del popolo costretto ad emigrare in cerca di  lavoro. Altri ancora, come Palazzeschi, vedono la figura dell’intellettuale tutt’altro che trionfalistica; essi  scrivono versi dissacranti  con l’intento di attribuire ai propri scritti una funzione terapeutica,  il compito di alleggerire le tensioni dell’epoca.

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Le riviste fiorentine, così chiamate perché tutte pubblicate a Firenze, costituiscono una caratteristica notevole di questo primo decennio del secolo; grazie alla varietà di posizioni sostenute esse sono la testimonianza delle inquietudini culturali del tempo. Enrico Corradini, Giuseppe Prezzolini e Giovanni Papini sono i personaggi di maggior spicco di questo settore, sia per la loro attività di organizzatori culturali, che per i loro interventi polemici. 
«LEONARDO» (1903-1907)

La prima di queste riviste che si pubblica dal 1903 al 1907 è

«Leonardo», fondata da Giovanni Papini. Il programma sintetico

presente sulla prima pagina del primo numero dichiarava

l’intenzione di «un gruppo di giovini, desiderosi di liberazione,

vogliosi d’universalità» di raccogliersi a Firenze sotto la rivista

«Leonardo» per intensificare la propria esistenza, elevare il proprio

pensiero ed esaltare la propria arte. 
A monte di queste posizioni c’è D’Annunzio: un individualismo

esasperato, una posizione antidemocratica ed antisocialista,

l’esaltazione della vita piena, goduta con una sensualità ferina, sulle

orme di Nietzsche. Questa posizione si integra con l’atteggiamento

anti-positivistico e con la divulgazione di Bergson. Vi sono nel

«Leonardo» altre due componenti: 1. La divulgazione del

pragmatismo, alla quale si dedica soprattutto Papini. Il pragmatismo

è una corrente filosofica che si fonda su premesse anti-intellettualistiche e sul rifiuto dei criteri logicorazionali per la conoscenza della realtà; grande valore è assegnato all’azione (praxis in greco): la validità del pensiero si misura dalla sua utilità o meno per l’azione. 2. La concezione mistica dell’arte che Prezzolini andrà sempre più elaborando. Prezzolini studia i mistici tedeschi. La matrice antipositivistica è alla base di tanti atteggiamenti del «Leonardo». 
«HERMES» (1904-1906)

Giuseppe Antonio Borgese, siciliano che aveva collaborato alla parte

filosofica della rivista «Leonardo», si stacca dai compagni e sempre a

Firenze, nel gennaio 1904 fonda «Hermes», rivista disorganica e

frammentaria. Il dannunzianesimo è un dato apparentemente dichiarato.

Il primo numero di «Hermes» si apriva dichiarandone i suoi collaboratori

dei veri e propri «discepoli di D’Annunzio». Della lezione dannunziana

si da però un’interpretazione estensiva: non solo limitandola ad una

lezione di gusto ed arte, ma estendendola alle implicazioni politiche che

essa comportava. Il discorso dei giovani di «Hermes» mira a superare ciò

che è la sola letteratura per trasformarsi in un discorso di idee sui destini

nazionali con ambizioni di impegno culturale-politico. Vi sono inoltre

rapporti e legami con «Il regno» di Corradini che già dal novembre 1903

aveva iniziato le pubblicazioni con un preciso programma politico: quello nazionalistico. 
«IL REGNO»  (1903-1906)

Anche se non fu una rivista letteraria, «Il regno», fondato da Enrico

Corradini nel 1903, merita attenzione perché vide la collaborazione

assidua di letterati come Papini, Borgese e Prezzolini; inoltre, in questo

periodo della storia italiana, il nesso tra atteggiamenti letterari e

implicazioni politiche è particolarmente evidente. 
Sin dal primo numero, Corradini, presentando la rivista aveva indicato

due direttive fondamentali; «Il regno» voleva essere una voce contro

la vita presente e contro il socialismo e la borghesia contemporanea.

Ma Corradini polemizza contro la borghesia contemporanea proprio

perché vuole una rinascita della 
borghesia e vede che nel presente, gli esponenti di questa classe sono

ancora inadeguati a svolgere questo ruolo. All’inizio del 1905, Corradini

cede la direzione della rivista ad Aldemiro Campodonico e si dedica esclusivamente alla politica; nel 1910 fonderà l’associazione nazionalista, prima, ed il partito nazionalista poi. 
Corradini, Papini, Prezzolini e Borgese avrebbero voluto essere i mentori intellettuali e politici della borghesia italiana di quei primi anni del Novecento. 
«LA VOCE» (1908-1916)

La rivista di gran lunga più importante fra tutte, per l’ampiezza

dei temi, per l’influenza che avrebbe esercitato, e per la sua

durata, fu «La Voce». Nella sua storia si possono individuare

varie fasi, scandite da contemporanei cambiamenti redazionali:

1. Una prima fase va dal dicembre del 1908 (sotto la redazione

di Giuseppe Prezzolini) al novembre 1911, quando, in occasione

della conquista di Libia Gaetano Salvemini lascia la rivista e

subito dopo fonda «L’Unità».

2. Una seconda fase va dal 1912 alla fine del 1913; per circa un

anno, la direzione viene assunta da Papini.

3. C’è poi una terza fase, di un anno, il 1914, nella quale

Prezzolini, di nuovo direttore, suggestionato dalla frequentazione

di Croce, proclama la rivista “una rivista di idealismo militante”.

4. Alla fine del 1914 però, Prezzolini cede la direzione a De

Robertis, che la tiene fino al 1916. 
La prima fase: «La Voce», come le altre riviste, nasce dall’

inquietudine psicologica e morale che contraddistingue

l’atteggiamento delle classi giovani della borghesia di fronte

agli aspetti della vita italiana contemporanea. Ma mentre nelle altre riviste questa situazione psicologica dava luogo a vagheggiamenti espansionistici o alla contaminazione da miti dannunziani, «La Voce» nella sua prima fase si distingue per l’impegno e la serietà morale; tutto ciò sintetizzava Prezzolini in uno dei primi articoli della rivista: “Trattare tutte le questioni che hanno riflessi nel mondo intellettuale e religioso ed artistico”. Tale programma trova una realizzazione in tutta la prima fase della rivista, grazie alla collaborazione di uomini di varia e contrastante provenienza culturale come Croce, Amendola, Salvemini, Cecchi, Murri, Einaudi. Nascono così analisi, inchieste, numeri unici su problemi concreti: il ruolo della classe intellettuale nella società italiana, la scuola, la questione meridionale. 
L’impegno dei vociani è duplice: per una nuova cultura (e quindi per un rinnovamento profondo della figura del letterato e del suo prodotto artistico), e per una nuova realtà politico-sociale. 
La seconda fase: La fisionomia, in seguito alla dipartita di Salvemini, cambia parecchio. D’altra parte Prezzolini esalta la guerra di Libia che prima, d’accordo con Salvemini, aveva aspramente avversato; celebra la guerra in sé e così fissa gli obiettivi e la linea della sua rivista. Vi è un ritorno puro e semplice alla letteratura, e si tratta di una letteratura che ha una sua fisionomia particolare ed abbastanza omogenea. 
La terza fase: Per appena un anno, il 1914, «La Voce» diventa, di nuovo diretta da Prezzolini, una rivista di idealismo militante. 
La quarta fase: De Robertis e la poetica del frammento: La direzione della rivista passa a De robertis che ne farà un periodico esclusivamente letterario. Quest’ultima “voce” è detta anche «Voce Bianca», dal colore della copertina. Nelle sue pagine comparvero le prime cose degli autori che in seguito avrebbero assunto un ruolo determinante nella nostra letteratura: Ungaretti, Palazzeschi, Campana, Govoni, Bacchelli ecc.  
Sulle pagine de «La Voce» di De Robertis viene formulata quindi quella poetica che per qualche decennio si imporrà nella letteratura italiana e che troverà le sue applicazioni esemplari nelle prose dei “vociani” e nella poesia ermetica. 
«L’UNITÀ» (1911-1920)

Dalla crisi della «Voce» ai tempi della guerra di Libia, nasce «L’Unità»; il suo fondatore e direttore, Gaetano Salvemini, è una delle personalità più notevoli della cultura italiana del Novecento; studioso dei problemi del meridione; inclemente avversario di Giolitti; docente all’università di Firenze. Abbandonata «La Voce», nel 1911, per un’esigenza di azione politica, Salvemini fonda «L’Unità» ed impegna una battaglia su problemi politici e sociali all’insegna della concretezza, evidenziando le insufficienze della democrazia italiana e polemizzando col nazionalismo. 
«L’Unità» si distingue dal panorama delle riviste finora illustrate, per il suo risentito tono di protesta, di denunzia morale.  
«LACERBA»  (1913)

Lacerba, diretta dall’inizio del 1913 allo scoppio della guerra, da Papini insieme

ad Ardengo Soffici e vide la collaborazione di Aldo Palazzeschi, ponendosi su

posizioni simili a quelle del «Leonardo» ed aderendo per breve tempo al futurismo;

 il titolo, tolto l’apostrofo, era quello di un poema “L’acerba”  di un poeta

trecentesco, Cecco d’Ascoli. 
Nella rivista, la polemica contro il filisteismo borghese, le tesi dell’interventismo

nazionalista e le sperimentazioni letterarie si mescolano con molta confusione.

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Durante il primo dopoguerra prevale l'idea di un intellettuale che, se non vuole schierarsi apertamente con il regime, è costretto a chiudersi in se stesso e non potrà mai portare avanti la sua carriera da intellettuale in quanto la cultura era totalmente controllata dal regime.

Come esempio possiamo parlare della posizione assunta dall'ermetismo che nasce in questo periodo, teorizzata da Carlo Bo in cui l'esercizio della poesia è considerato alla stregua di una missione religiosa.

Montale affidava alla poesia il compito di una conoscenza unicamente negativa, non solo respingendo il compito del poeta vate ma staccando le sue problematiche da ogni fiducia nel progresso.

Lo stesso Croce durante questo periodo fu costretto al silenzio e grazie alla sua fama non finì nello stesso modo in cui finirono Gramsi e Gobetti che erano due antifascisti che che combatterono contro il regime e per questo vennero, il primo incarcerato e il secondo ucciso in una aggressione squadrista.

Dopo la scomparsa di questi due intellettuali nacque, a Torino, un gruppo di altri intellettuali estranei o contrari al fascismo, tra questi Ignazio Silone e Emilio Lussu che furono costretti all'esilio.

Questi intellettuali, come soluzione al fascismo, affermano la ragione dell'illuminismo e lo spirito critico.

Negli anni tra le due guerre importanti per la diffusione della cultura erano proprio le riviste che diedero notorietà ad alcuni autori che a causa delle proprie origini non facevano parte a pieno della vita culturale del tempo.

Tra questi uno degli artisti più importanti è Umberto Saba che pubblicando sulla rivista "Solaria" poté essere conosciuto. Saba spese buona parte della sua vita a parlate della guerra e degli effetti assolutamente negativi di questa. Contrapponendosi a Umberto Boccioni e Nino Oxilia che invece esaltavano questa come la possibilità di un rinnovamento.

Chi, invece, aveva posizioni ambivalenti riguardo la guerra era Giuseppe Ungaretti che sebbene la vedesse come una barbarie, in realtà attraverso la guerra lui trovò se stesso e la propria patria.

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In questi anni le riviste assumono un ruolo molto importante nella letteratura  Infatti nel periodo fra le due guerre la storia culturale appare fortemente caratterizzata dalle vicende di alcune riviste che discutono le scelte della letteratura e né lanciano i programmi.

RONDA è una rivista di Roma 1919/1922 ed era l'unica rivista non essere controllata dal regime punto istruttori della ronda mettono in luce quanto fossero confuse e velleitarie le problematiche dei futuristi. La ronda fu l'aventino della letteratura. Questa sostenne con estremo rigore la libertà è l'autonomia della letteratura è l'assoluta preminenza dello stile sui contenuti. Esso rifiuta il razionalismo e lo sperimentalismo delle avanguardie E a loro disordine viene apposto un ordine che si ispira di valori tradizionali. Inoltre questa proponeva un totale disinteresse verso i problemi sociali e politici e proprio per questo non risulta essere un problema per il regime punto Questa rivista ebbe un'influenza ben oltre la sua effettiva durata poiché la risoluzione della scrittura nello stile dava vita alla cosiddetta "prosa d'arte" (redatto da Boldini Cardarelli Cecchi e bocchelli). 

SOLARIA Questa è una rivista Fiorentina. Si proponeva come un ideale di Repubblica delle lettere, del tutto indipendente rispetto ai condizionamenti dal potere politico. Questa riuscì a riunire le forze più vive della letteratura del tempo, avviando così un discorso ricco di prospettive. La rivista presta particolare attenzione alla specificità del linguaggio letterario, considerato come uno spazio separato da esplorare attraverso strumenti tecnici specialistici punto. Essa rilancia il problema della responsabilità storica te lo scrittore, attirando a se l'attenzione del regime che sequestro alcuni fascicoli

IL SELVAGGIO Questa rivista, al contrario Ghironda, ha un rapporto diretto con la politica. È sempre ispirarsi alla tradizione Nazionale che veniva fatta coincidere con i valori del mondo contadino, ritenuti sole autentici e Vitali, capaci di contrastare la corruzione dell'età presente. L' avere identificato questi valori nel crescente fascismo, lo indusse ad aderire, ma ciò non impedirà atteggiamenti di dissenso. A esso fece capo il movimento che divise in quegli anni la cultura italiana. Ad esso si oppose il movimento di Stracittà che ebbe organo nella rivista <900>. Questa rivista si batte per una cultura europea, rifiutando il provincialismo ottocentesco ed entrando così in polemica con <il servaggio>.

L'ITALIANO dato vita da Leo longanesi, anche i sostenitori di Mussolini, accorderà nonostante ciò ampio spazio apposizioni di tagliente ironia 
IL BARETTI  questo aveva un preciso intento costruttivo e polemico: quello di trasferire il discorso politico sul piano letterario è così di condurre un'azione di resistenza nei confronti del regime. La rivista propone un ritorno alla serietà e alla ragione. Ragione la quale si richiede ha radici nella volontà di riforma dell'illuminismo (ragione illuministica).

Questa tradizione verrà ripresa dalla rivista CULTURA.

Una rivista che si può considerare l'erede di <solaria> è LETTERATURA, questo per la sua volontà di mantenere il discorso in un ambito letterario, sul piano europeo. 

FONTESPIZIO legata al tradizionalismo cattolico della cultura Fiorentina.

CORRENTE accolse i contributi dell'ermetismo Fiorentino all'interno di un ampio dibattito filosofico. Questo è molto attente rapporti tra le varie arti e alle trasformazioni del gusto estetico. Questa rivista aveva una posizione che litiga di fronte al fascismo

PRIMATO fini per rappresentare la crisi della cultura fascista raccogliendo molti punti di rottura. Si tornò a parlare di libertà d'arte, del ruolo degli intellettuali, delle esigenze di una cultura sovranazionale è tutto ciò trovò espressione in alcuni dibattiti.

IL POLITECNICO La rivista "Il Politecnico" venne diretta da Vittorini e fu pubblicata dal 1945 al 1947. Gli interessi di questa rivista erano molteplici, sia letterari che politici e andavano dalla divulgazione di testi di poeti stranieri alle inchieste sulla Fiat, sulla scuola. La rivista di Vittorini si pone proprio contro la cultura tradizionale del tempo, che veniva definita dallo stesso "consolatoria". Vittorini riteneva che tale connotazione della cultura non era stata per nulla positiva, visto che non aveva potuto impedire gli orrori del fascismo. Questo perché la cultura consolatoria non ha avuto strumenti, potere, all'interno della società, ed è rimasta pertanto incapace di proteggere l'uomo dalla sofferenza. Al contrario Vittorini sosteneva una cultura di stampo operativo, che fosse direttamente incidente sui meccanismi della società "...una cultura che impedisca le sofferenze, che le scongiuri, che aiuti a eliminare lo sfruttamento e la schiavitù, e a vincere il bisogno..." Vittorini insiste su alcuni concetti di fondo: che la politica resta limitata entro i confini della cronaca, al contrario della cultura, che invece fa storia. Quindi essa ha il diritto di subordinare a sé stessa la cultura solo quando opera cambiamenti qualitativi all'interno della società, e questo accade solo in momenti eccezionali, cioè rivoluzionari. Ben presto sulle pagine del Politecnico si accende la discussione sul rapporto fra cultura e politica e quindi anche fra intellettuali e Partito Comunista. La cultura, per così dire, di massa che si forma nella nuova Italia democratica e repubblicana, deve fare i conti con le nuove forme di organizzazione del consenso di matrice socio-politica. La lotta è tra letteratura (e cultura) libera e letteratura condizionata, organizzata, cioè finanziata in vista di un consenso. Il 10 ottobre 1946 il segretario del PCI Palmiro Togliatti interviene su Rinascita, settimanale del PCI, affermando che le idee positive e costruttive espresse da Vittorini nel primo numero del Politecnico si erano oggi ridotte a una ricerca astratta del nuovo, del diverso e del sorprendente, incapace di dare un contributo serio e utile al rinnovamento della cultura italiana. Nella risposta a Togliatti, pubblicata sul numero 35 del Politecnico nel 1947, Vittorini, pur accettando alcune critiche, ribadiva le sue posizioni di fondo, e cioè: 1. Se l'uomo di cultura aderisce completamente alle direttive del rivoluzionario non fa altro che "suonare il piffero della rivoluzione", né chi suona il piffero per una politica rivoluzionaria è meno arcade e pastorello di chi lo suona per una politica reazionaria e conservatrice. 2. Lo scrittore rivoluzionario non può essere privato della libertà di sostenere istanze che differiscono da quelle del partito "...ch'è proprio di lui scrittore rivoluzionario porre, e porre accanto alle esigenze che pone la politica, porre in più delle esigenze che pone la politica". Vista una così ampia divergenza di vedute, non fu possibile una mediazione delle posizioni. Così nel dicembre 1947 "Il Politecnico" cessava la pubblicazione, Vittorini qualche anno dopo abbandonò il PCI Togliatti lo salutò con un articolo che citava "Vittorini se né ghiuto e soli ci ha lasciato". 

Giovanni Pascoli

Luigi Pirandello

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Le riviste fiorentine 

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