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Il primo dopoguerra e il fascismo

L'Italia nel dopoguerra

 

 

 

 

 

 

 

 

L’Italia aveva vinto la guerra. In un primo momento la vittoria suscitò grandi speranze, i grandi obiettivi per cui si era combattuto –completare l’unione nazionale e portare l’Italia tra le grandi potenze sembravano raggiunti. Così non fu: una grande conflittualità sociale e politica lacerò il paese per quattro anni. Dal 1919 al 1920, il cosiddetto “biennio rosso” fu dominato dalle grandi lotte operaie e contadine e dall’insoddisfazione delle trattative di pace da parte dei nazionalisti e del ceto medio. Queste tensioni sfociarono in una vera e propria crisi del sistema che produsse il sovvertimento di quest’ultimo e l’instaurazione della dittatura fascista di Benito Mussolini. Le cause della crisi erano la grave situazione finanziaria a seguito delle ingenti spese per l’importazioni di materie prime utili al finanziamento della guerra che, ormai conclusa, decretò una rinconversione produttiva: l’azienda bellica che si era molto sviluppata durante il conflitto ora conosceva la disoccupazione. All’inizio del 1919 un ciclo di durissime lotte sociali e sindacali coinvolsero milioni di lavoratori, che delusi della disoccupazione dell’aumento del prezzo della vita, decisero di insorgere occupando le terre incolte e scioperando  in segno di protesta. Il governo presieduto da Alfonso Nitti, reagì alterando l’uso nitella forza per mantenere l’ordine e contemporaneamente attuando una seria soluzioni positive. Il movimento dei lavoratori ottenne:

  • Aumento dei salari e con lo storico accordo del 20 febbraio 1919 la riduzione della giornata lavorativa a otto ore.

  • L’imponibile di manodopera e il controllo sindacale dei collocamenti.

  • Miglioramento dei patti agrari.

  • Al Sud le terre incolte occupate vennero redistribuite ai contadini.

La rappresentanza politica di questo movimento spettava naturalmente al Partito socialista che però in questo periodo andò radicalizzando le sue posizioni in senso rivoluzionarie si trovò primo di una direzione unitaria: da un lato c’erano i massimalisti che teorizzavano la violenza di classe e la dittatura del proletariato, dall’altro la minoranza riformista che sosteneva una piena democrazia politica.

 I nazionalisti, di cui facevano parte il ceto medio e gli intellettuali, rimasero molto delusi dai risultati del conflitto e dal patto di Londra (1915) che non prevedeva l’assegnazione della città di Fiume all’Italia.  Per questo motivo si diffuse un forte clima di “vittoria mutilata” e nel settembre 1919 i nazionalisti, guidati da Gabriele D’Annunzio, occuparono Fiume proclamandone l’annessione all’Italia, rifacendosi al principio di nazionalità di Wilson. L’anno successivo il contenzioso fu risolto dal governo italiano tramite il Trattato di Rapallo che dichiarava Fiume “città libera”. Solo nel 1924 Fiume sarà nuovamente annessa all’Italia con il patto italo-iugoslavo.

E’ in questo clima che si insedia il fascismo, con la

fondazione dei Fasci di Combattimento nel 1919 da parte

di Benito Mussolini. Questo movimento, che esaltava la

violenza e disprezzava la politica intesa cme confronto di

idee e di forze sociali, nel 1920 risponde ai moti

insurrezionali dell’occupazione delle febbriche.

Quest’intervento fu apprezzato dall’opinione pubblica che,

stanca della situazione insostenibile, voleva una soluzione

conservatrice e autoritaria. Nonostante le elezioni dell’anno precendente futono un fallimento, lo squadrismo fascista continuò ad espandersi e a raccogliere sempre più consensi, grazie all’instabilità politica.  Con le elezioni del 15 maggio1921, dopo aver stretto un’alleanza con i nazionalisti, proposta da Giolitti, i fascisti ottennero 31 seggi. A seguito di questo risuktato, Mussolini decise di sottoscrivere un patto di pacificazione con i socialisti, accolto con favore dall’opinione pubblica ma che destò forte opposizione all’interno del movimento stesso. Per questo motivo “il Duce”, sconfessò il patto  ma fece dell’alleanza politica con i nazionalisti un vero e proprio partito politico: il Partito nazionale fascista (PNF).  Il programma politico del partito prevedeva uno stato forte e la limitazione dei poteri del parlamento, un vero e proprio programma conservatore e nazionalista, che raccoglieva le aspirazioni della borghesia e del ceto medio. E’ la prima volta in Italia che nasce un partito di massa militarmente organizzato. 

Mentre il fascismo si consolidava, il socialismo si indeboliva. Al congresso di Livorno del 1921, il socialismo conobbe una scissione: un gruppo di dirigenti dell’ala sinistra se ne distaccò completamente dando vita al Partito comunista d’Italia, che aderì alla Terza Internazionale di Lenin. Una seconda scissione si ebbe nel 1922, che diede vita a una nuova formazione politica: il Partito socialista unitario guidato da Giacomo Matteotti. Nello stesso anno Mussolini giudicò maturi i tempi per avviare un vero e proprio colpo di stato: diede il via alla concentrazione di squadrusti nella capitale, la cosiddetta “marcia su Roma” con cui pretendeva il governo. Il 24 ottobre 1922, circa 40 000 fascisti si radunarono a Napoli, giungendo da ogni parte d’Italia. Per Mussolini non si trattava più di accettare un ruolo, anche importante, all’interno di un partito guidato dai liberali, come già gli era stato proposto. Pretendeva di mettersi personalmente alla guida del paese. Giolitti, l’unico uomo politico in grado di risolvere la crisi, rinunciò all’impresa. Da Napoli le colonne fasciste iniziarono a convergere verso la capitale. Il re, tuttavia, non volle opporsi con la forza ai  fascisti. Quando il capo del governo, Luigi Facta, gli sottopose la firma del documento che istituiva lo “stato di assedio” – provvedimento eccezionale che avrebbe consentito l’impiego dell’esercito per ristabilire l’ordine- Vittorio Emanuele III si rifiutò di firmarlo. Mussolini, che nel frattempo era tornato a Milano, fu convocato in tutta fretta a Roma, dove fu accolto dall’entusiasmo dei fascisti. Il 30 ottobre il re gli conferì l’incarico di formare il nuovo governo. Mussolini conquistò il potere rimanendo, formalmente, nel lambito della legalità: egli fu nominato primo ministro dal re, secondo le regole previste dalla Costituzione in vigore, lo Statuto Albertino. Il 16 novembre Mussolini presenta il suo governo in parlamento, ottenendo il favore. Possiamo definire quest’atto un vero e proprio suicidio politico.                                      

A partire dal 1922 fino al 1925, Mussolini attuò diverse riforme:

  • Le squadre d’azione divennero un vero e proprio esercito sotto il suo controllo

  • Riforma Gentile che prevedeva dei provvedimenti l’insegnamento obbligatorio della religione nelle scuole elementari, per accreditarsi il nuovo Papa Pio XI.

  • Legge Acerbo: prevedeva che i 2\3 dei seggi spettassero alla lista con più del 25% voti.

Alle elezioni del 1924, il Partito fascista ottenne il 65% dei voti. La campagna elettorale fu accompagnata da intimidazioni e minacce, denunciate da Giacomo Matteotti con un discorso alla camera il 10 giugno 1924. Egli fu rapito e successivamente ucciso. Il delitto diede vita ad una grave crisi politica che, fu messa a tacere con il famoso discorso del 3 gennaio 1925, con cui Benito Mussolini si assunse la responsabilità del delitto e diede definitivamente vita alla dittatura fascista. Punto di partenza della trasformazione del fascismo in dittatura totalitaria, fu il processo di “fascistizzazione” con l’istituzione delle leggi fasciatissime:

  • Il capo del governo era responsabile solo difronte al re.

  • Il Parlamento fu privato della facoltà di discutere le leggi.

  • Fu soppressa la libertà di associazione che mise fuori legge tutti i partiti al di fuori di quello fascista.

  • L’amministrazione dello stato spettava al governo e le autonomie locali furono abolite.

  • La stampa, la radio, il cinema furono messe sotto controllo.

  • Fu istituito il Tribunale speciale per la difesa dello stato, formato dalle forze dell’ordine e dall’organizzazione militare del Partito fascista.

Questo insieme di leggi sancì la fine di ogni libertà e manifestazione del dissenso. Chiunque volesse ribellarsi al regime, erano punito tramite pene inflitte dagli organi di repressione, ovvero il Tribunale Speciale e l’Ovra. Il primo consisteva in un organo speciale del regime fascista competente nel giudicare i crimini commessi contro i fascisti e contro il partito. L’Ovra, la cui sigla non è mai stata chiarita, era la polizia speciale o meglio, la polizia segreta che dal 1926 sino al 1943 controllò e represse tutte le organizzazioni esistenti nel territorio italiano: di fatto era l’organo che si occupava di controllare lo stato di polizia italiano e che mandava al tribunale speciale gli imputati. 

Per infondere maggiormente il suo potere, Mussolini comprese che per controllare le masse italiane era necessario che trovasse una forma di alleanza con il principale potere esercitato sulle coscienze: sin dall’instaurazione della sacra istituzione, il peso della religione cattolica romana rimase determinante all’interno della storia italiana e delle coscienze del popolo, in particolare delle masse contadine analfabete. Era necessario dunque nazionalizzare la Chiesa, una istituzione quest’ultima in grado di poter fermare l’avanzata fascista. Così il 9 febbraio 1929 vengono firmati i Patti Lateranensi. Il papa difese delle posizioni sulle quali Mussolini non riuscì a controbattere: i Patti dichiaravano che l’Istruzione Pubblica doveva essere basata su un sistema ideologico cattolico e che l’Azione Cattolica doveva essere una organizzazione riconosciuta su tutto il territorio nazionale. Di fatto l’Azione Cattolica era limitata nell’influenza sulle fasce giovani dell’ONB, Organizzazione nazionale dei Balilla, i giovani fascisti. Il controllo della Chiesa era nelle mani dei fascisti: Pio XI non si oppose mai con particolare veemenza, tanto che qualche giorno dopo la firma dei Patti Mussolini dichiarò: “Lo stato italiano è fascista e cattolico, ma essenzialmente fascista.”

Per quanto riguarda il sistema culturale il regime fascista, come poi quello nazista, attuò una politica nazionalista: tutto doveva essere prodotto e pensato all’interno dello stato italiano e doveva essere un’esaltazione dei valori del fascismo. Il regime si assicurava ampie aree di sostegno da parte degli artisti, degli architetti, musicisti e registi grazie a particolari benefici che gli venivano riservati: nasce così la cultura propagandistica, un altro degli elementi fondamentali dell’espansione del regime. Ribadendo che in Italia non vigeva la libertà di stampa e di pensiero, e che tutto era fortemente analizzato dagli strumenti fascisti come l’Ovra, nel 1926 venne fondato l’Istituto Luce un organo predisposto alla produzione di documentari e di lungometraggi educativi e propagandistici che illustravano le istituzioni del regime. Nel 1929 invece venne introdotta la radio, attraverso la quale andavano in onda le radiocronache delle manifestazioni fasciste.

Durante il periodo fascista, oltre a un

 del potere locale, Mussolini si preoccupò anche di consolidare la politica espansionistica della nostra penisola: decise di allargare i domini italiani avviando una spedizione in Etiopia nel 1936. A questo progetto si uniscono anche concreti interessi del paese, infatti l’industria siderurgica italiana ci avrebbe guadagnato. Inglesi e francesi danno il via libera all’Italia per la conquista dell’Etiopia, ma il Patto di Locarno del 1925 prevedeva un periodo di pace e stabilità che non fu rispettato dall’Italia. A questo progetto si uniscono anche concreti interessi del paese, infatti l’industria siderurgica italiana ci avrebbe guadagnato: le truppe etiopi guidate dall’imperatore Negus riuscirono a resistere all’esercito italiano, perché anche se in inferiorità, avevano il vantaggio di conoscere i territori e l’esercito italiano era molto arretrato. L’Italia decise di reagire in maniera violenta, procedendo a una feroce conquista dei territori con l’utilizzo di gas nocivi, di bombe con l’aviazione e di carrarmati; quest’atteggiamento portò l’Italia ad essere condannata ed espulsa dalla Società delle Nazioni.

Mussolini cercò di rimediare all’espulsione dalla Società delle Nazioni sostanzialmente in due modi:

  • aumentando le attività commerciali con la Germania;

  • con l’autarchia ovvero l’autosufficienza economica: l’Italia doveva produrre tutto il necessario all’interno del paese.

L’autosufficienza economica e la “lira a quota novanta” portarono un netto peggioramento delle relazioni internazionali (tranne che con la Germania la quale aveva appoggiato l’autarchia italiana), un danneggiamento dei consumatori che pagavano un prezzo più alto per merci più scadenti e un aumento del contrabbando.

Nel 1938 inizia la “pagina nera” della storia italiana, è l’anno in cui si stipula il Patto d’Acciaio e l’Italia entra sempre di più in contatto con la Germania di Hitler e di conseguenza con ideali razzisti portati avanti dai tedeschi. In Italia vengono escono le leggi razziali esse vedevano gli ebrei espropriati dei propri diritti civili, oltre che venire:

  • espropriati dei propri beni;

  • cacciati dal pubblico impiego;

  • privati del diritto di andare a scuola.

Gli ebrei iniziano ad essere deportati e molti di loro persero la vita nei campi di concentramento. In Italia le persecuzioni razziali furono accolte con perplessità, ma purtroppo senza manifestazioni di aperto dissenso neppure da parte del mondo cattolico.

La Germania nel dopoguerra

La vittoria mutilata e la nascita del nazismo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La fine della prima grande guerra iniziata nel luglio del 1914 e terminata nel novembre 1918 vide una aprirsi uno scenario per la Germania che si rivelerà decisivo per l'affermarsi del nazismo. A Berlino, dopo la fuga del Kaiser era stata proclamata la repubblica ed era nato un governo provvisorio guidato dai socialdemocratici, il cui primo atto fu la firma dell'armistizio l'11 novembre; questa generò un forte malcontento soprattutto da parte dei nazionalisti, coloro che credevano nel potere della nazione e che videro quest'atto come un tradimento nei confronti della patria. Quando nel 1919 si tennero le elezioni per l'Assemblea costituente i socialdemocratici vinsero e nell'agosto di quello stesso anno la Germania dichiarò la repubblica di Weimar che univa i princìpi di liberalismo e democrazia. Il potere esecutivo era gestito dal governo centrale e quello regionale dei 17 stati in cui era suddiviso il territorio. Il potere spettava al parlamento e al presidente della repubblica, il cancelliere, eletto dal popolo. La repubblica di Weimar si trovò a fare i conti con un clima pesante dettato dalla fine della guerra, di fatti la nazione subì un'umiliazione sia per quanto riguarda le perdite territoriali tra cui la perdita dell'Alsazia-Lorena, la cessione di bacini carboniferi della Saar e la perdita delle colonie, sia economicamente per l'obbligo di risarcire i danni di guerra. Consapevoli del pericolo dell'instabilità del popolo tedesco, gli Stati Uniti decisero di intervenire applicando il piano Dawes, l'aiuto economico dell'America consentì un'immediata ripresa con evidenti ritmi di crescita fino a quando il 24 ottobre del 1929 crollò l'indice azionario della borsa di New York, questa crisi colpì duramente la Germania sorretta dai finanziamenti statunitensi. Questo creò nei nazionalisti una forte inquietudine su cui farà leva il futuro cancelliere Hitler. Adolf Hitler aderì al Partito nazionalsocialista tedesco dei lavoratori che disponeva di squadre militari, le Sa, diventato capo del partito tentò nel 1923 un colpo di stato ma venne arrestato, nel suo anno di reclusione egli mise appunto le sue idee per quello che diventerà il futuro partito nazista raccogliendole nel suo libro "Mein Kampf" egli esaltava la superiorità della Germania, un socialismo fortemente anti-marxista basato sui valori, non della classe operaia, ma della nazione. Il principale nemico era la razza ebraica incolpati anche della forte crisi, questo forte antisemitismo sarà decisivo per uno dei più grandi stermini di massa mai praticati. Gli elettori erano principalmente uomini giovani che vedevano in Hitler una fondamentale risorsa per il paese, così mentre gli scioperi crescevano mettendo in difficoltà la repubblica di Weimar il partito nazista raccoglieva consensi. Nel 1933 Hindenburg affidò il compito di cancelliere a Hitler, pensando di potersi servire di lui per placare le rivolte, Hitler approfittò dell'incendio al parlamento di Berlino, Reichstag, per accusare e arrestare i comunisti e dichiarare illegale il partito. Nel 1933 si tennero le elezioni che Hitler vinse diventando capo del governo, assumendo quindi pieni poteri, tra cui quello di contrastare la Costituzione. Tra le sue prime azioni decise di eliminare il capo delle SA nella "Notte dei coltelli" creando un esercito che avrebbe dovuto rispondere solo agli ordini del Fuhrer e avviò il cosiddetto allineamento in cui ogni garanzia costituzionale e possibilità di dissenso vennero abolite, i giornali d'opposizione vennero proibiti insieme alla lettura di libri non autorizzati che vennero bruciati in grandi incendi, le radio erano tenute sotto controllo e i sindacati furono sciolti. Il piano per far tornare la Germania al suo antico splendore procedette ripristinando l'industria, trovando occupazioni per tutti i cittadini e plasmando la società sul modello di una nazione guerriera. Strinse il patto anti-comintern in cui si alleava politicamente con il Giappone e con l'Italia contro l'Unione sovietica, il patto d'acciaio con l'Italia che prevedeva l'appoggio militare in caso di conflitto e nel 1939 strinse un patto strategico di non belligeranza, chiamato Molotov-Ribbentrop con l'Unione sovietica e iniziò la sua politica espansionistica aggressiva a cui nessun paese si opponeva in nome dell'appeasement, accordo per mantenere la pace dato che si temeva lo scoppio di una seconda guerra mondiale. Quando Hitler si avvicinò a Danzica in Polonia, Inghilterra e Francia abbandonarono la politica dell'appeasement dichiarando guerra alla Germania il 3 settembre 1939, questo conflitto insieme ad una serie di schieramenti porteranno alla seconda guerra mondiale.

Tra le azioni più tragiche di Hitler non possiamo non soffermarci sull'olocausto, il processo di arianizzazione iniziò con atti vandalici e omicidi nei confronti degli ebrei, tra questi ricordiamo la "Notte dei cristalli" tra il 9 e il 10 dicembre in cui vennero uccisi circa 90 ebrei. La Shoah, termine ebraico per indicare la distruzione, tramite la tecnica della gassazione, i lavori forzati e gli esperimenti è stata la più grande carneficina mai praticata in cui gli ebrei venivano condannati per la loro razza a prescindere da ciò che facevano, lo sterminio si concluse con circa 17 milioni di vittime e l'occultamento di molti documenti che provavano le crudeltà avvenute nei campi di concentramento. 

La dittatura di Stalin

L'ascesa al potere e la dittatura di Stalin 

Alla fine della guerra civile nel 1922, si era creato l’URSS

(Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche) e a capo del

nuovo Stato c’era Lenin, che nello stesso anno, 1924, si

ammala e muore. Da questo momneto si avvia lo scontro,

per l’ascesa al potere, di due personaggi  molto influenti:

  • Trockij: uomo di prestigio che aveva capeggiato l’armata rossa durante la guerra civile e quindi molto legato a Lenin. Dal punto di vista poltico, egli credeva che si dovesse attuare la “rivoluzione permanente”, ovvero fare del comunismo l’ideologia politica di ogni stato. Dal punto di vista economico voleva elaborare un piano alternativo alla NEP (sluzione temporanea di riparazione e ricostruzione economica dopo il comunismo di guerra). Quest’ultima avvantaggiava soltanto i contadini (kulaki) e i piccoli proprietari ma non le grandi industrie. Per questo Trockij proponeva un’industrializzazione accelerata, perché in caso di nuovi conflitti, l’URSS sarebbe stata di nuovo in una posizione svantaggiata rispetto al resto di Europa.

  • Stalin: era un uomo molto influente poiché nel 1922 era diventato segretario del partito comunista.  Politicamente egli, in contrapposizione con il rivale, propose il piano del “socialismo in un solo paese” secondo cui tutte le forze andavano concentrate per costruire una nuova società comunista all’interno dell’URSS senza, quindi, esportare la rivoluzione. Dal punto di vista economico, era favorevole alla NEP.

Stalin vinse le elezioni e Trockij, dopo aver dato le dimissioni, fuggì all’estero.

Una volta aver conquistato il potere, Stalin cambiò linea economica, dichiarandosi a favore della fine della NEP, ponendo Bucharin sotto accusa dopo che egli lo aveva appoggiato durante la campagna elettorale. Bucharin infatti fu costretto alle dimissioni e in seguito condannato a morte.  A seguito di questo gesto Stalin si ritrovò ad essere l’unico capo del partito e dittatore dell’URSS. Il suo nuovo punto di vista economico, proponeva di instaurare un nuovo piano industriale. Come si può notare, cambiando la sua posizione, Stalin adottò di fatto le proposte di Trockij. Tramite dei piani quinquennali, egli pose sotto controllo l’economia e attuò lo sviluppo dell’industria.

I piani quinquennali individuavano degli obbiettivi da raggiungere nel corso di cinque anni e nei vari settori dell’industria. Durante il suo governo furono attuati due di questi piani:

  • Primo piano quinquennale (1928-1932): l’obbiettivo era la collettivizzazione delle terre. Stalin sapeva che il processo di industrializzazione sarebbe potuto avvenire solo se i grandi centri industriali fossero sempre riforniti, inoltre aveva deciso di iniziare ad esportare cereali all’esterno per poter ottenere capitali, macchinari e tecnologia necessaria sempre al miglioramento dell’industria. Per fare ciò, Stalin aveva bisogno del controllo assoluto su tutte le terre e sui raccolti:

  • Per ottenere i raccolti, Stalin fece ricorso a requisizioni forzate ma questo comportò una diminuzione nella produzione, in quanto i contadini non erano interessati a coltivare delle eccedenze che poi venivano loro confiscate.

  • I terreni vennero invece sottratti ai kulaki, ovvero ai grandi latifondisti e proprietari terrieri che durante il periodo della NEP si erano largamente arricchiti tanto da poter assumere dei braccianti. Essi si erano opposti alle requisizioni e di conseguenze, Stalin proseguì dal 1930, con la loro eliminazione come classe sociale e la requisizione di tutti i terreni.

 Molti di questi vennero deportati in campi di concentramento (gulag) oppure vennero sfruttati dalle industrie.

Ottenuti tutti i terreni, questi vennero organizzati in grandi industrie agricole, in cui tutti i contadini erano costretti a trasferirsi. In segno di protesta, i contadini iniziarono una “resistenza passiva”, ad esempio uccidendo gli animali e rendendo, più complicato il processo di semina dei campi e diminuendo la produzione. Lo stato allora emanò, nel 1932, la legge per la difesa della proprietà socialista: era vietato per i contadini anche raccogliere una singola spiga per mangiare qualcosa, la pena era la deportazione. La situazione si aggravò ancora di più nel 1933, in quanto il raccolto era stato molto più scarso del previsto ma lo stato ordinò comunque di requisire le quote fissate anche a costo di far morire di fame i contadini. Si diffuse infatti una carestia generalizzata che provocò la morte di circa 5 milioni di persone.

  • Secondo piano quinquennale (1932-1937): l’obbiettivo era l’accelerazione del processo di industrializzazione, premiando l'operaio per incentivare il lavoro creando così un crima molto competitivo.

Il 23 agosto del 1939 Stalin trinse il famoso patto Molotov-Ribbentrop con la Germania, un patto di non belligeranza, in cui parte dell'accordo era segreto e prevedeva la divisione della Polonia dopo averla conquistata, patto che venne poi spezzato da Hitler il 22 giugno 1941 quando attuò l'operazione barbarossa.

Stalin instaurò una dittatura basata sul partito, che si identificò nello stato, in quanto unico detentore del potere. Ogni dissenso fu impedito e si passo ad una fase di terrore, o “delle grandi purghe”, in cui furono giustiziati o deportati molti cittadini, dai ceti più alti a quelli più bassi. Inoltre veniva fatta molta propaganda ideologica che tendeva a criminalizzare ogni dissenso.

Francisco Franco

La guerra civile spagnola e la dittatura di Francisco Franco

Dal 1923 al 1930 la Spagna fu covernata dal dittatore

Miguel Primo de Rivera che trovatosi a fare i conti

con una forte crisi economica decise di dimettersi,

alle elezioni del 1931 le forze repubblicane ricevono

l'appoggio degli spagnoli mettendo fine alla

monarchia. I repubblicani mirarono a ridurre il potere

della chiesa e dei proprietari terrieri.

Nel 1933 le elezioni furono vinte da una coalizione

conservatrice e nelle Asturie scoppiò una rivoluzione

socialista che venne sedata con il "pugno di ferro" dal generale Francisco Franco nel 1934. Il paese si scinde in, questo momento, in 2 blocchi: da una parte ci sono i Nazionalisti e dall'altra i Repubblicani, i Nazionalisti, tra cui Franco, volevano porre fine al governo eletto democraticamente che veniva invece appoggiato dai Repubblicani, entrambi gli schieramenti preparano l'esercito in vista della guerra. Il generale Franco gestì le operazioni di guerra dal Marocco e riuscì ad imporsi come leader delle  forze Nazionaliste diventando nel 1926 Capo dello stato nazionalista. Oltre a quest'ultimi, i Repubblicani dovettero affrontare anche un problema interno essendo divisi tra repubblicani che volevano salvare la repubblica e anarchici che volevano la rivoluzione del proletariato. Per vincere la guerra civile entrambi gli schieramenti chiesero aiuto all'estero, i Nazionalisti ebbero l'appoggio della Germania nazista e dell'Italia fascista mentre i Repubblicani vennero appoggiati dall'Unione Sovietica. L'aiuto nazista si rivelerà fondamentale per la vittoria di Francisco Franco che bombardò diverse citta tra cui Guernica, che verrà immoratalata da Pablo Picasso in segno di  disapprovazione nei confronti della crudeltà umana. L'ultima città che si arrese alla forza dei Nazionalisti fu Madrid dopo tre anni di resistenza. Dopo la sua vittoria Francisco Franco dichiarerà la dittatura che come le altre prevedeva la censura, la persecuzione degli oppositori politici e il controllo assoluto del paese, egli durante la seconda guerra mondiale non si schierò con le potenze dell'Asse nonostante l'aiuto ricevuto in passato ma fu in gran parte neutrale. Nel 1935 Francisco Franco viene nominato Capo di Stato Maggiore e quando le elezioni del 1936 vengono vinte dal Fronte popolare Franco organizza un colpo di stato preoccupato della minaccia comunista.

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