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Il decadentismo

Il decadentismo
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L'origine del termine viene da un sonetto di Paul Verlaine dal titolo Langueur (1883) dove egli afferma di identificarsi con l'atmosfera di stanchezza spirituale dell'Impero Romano alla fine della decadenza, questo sonetto interpretava uno stato d'animo diffuso nella cultura del tempo.
Tuttavia la bandiera dell' anticonformismo inalberata dai decadenti è di origine romantica, era stato proprio il Romanticismo ad arricchire la tipologia letteraria di un nuovo mito umano: il ribelle.

Il termine è stato caricato di un significato negativo e persino, a volte, di una connotazione dispregiativa.
Anche per questa definizione storiografica si pongono diversi problemi, originariamente indicava un determinato movimento letterario sorto nell'ambiente parigino durante gli anni 80; la storiografia italiana ha poi deciso di usare il termine per disegnare un'intera corrente culturale che si colloca negli ultimi decenni dell'800.
In questi anni vi è appunto una vera e propria rivoluzione del linguaggio poetico che assume un valore puramente suggestivo ed evocativo. Alle immagini nitide e distinte si sostituisce l'impreciso, il vago, l'indeciso. La parola perde la sua funzione di strumento comunicativo immediato e recupera quella ancestrale di formula magica, capace di rivelare l'ignoto, di mettere in contatto con un Arcano al di là delle cose.

Il movimento trovò il suo portavoce in un periodico francese "Le Décadent". In Italia questo filone arrivò grazie alla forte attrazione che vi era verso la cultura francese. Gli autori francesi più di spicco di questi anni furono Rimbaud, Verlaine e Mallarmè ed importante precisare che, come detto in precedenza,loro così come tutti i poeti della fine dell' 800 sono fortemente influenzati da Charles Baudelaire, definendolo un maestro e un iniziatore di questo pensiero. Difatti, nonostante egli sia deceduto poco prima dell' affermarsi di questa nuova percezione del mondo e delle cose, gli autori   fanno riferimento alla sua poesia come poesia simbolista. Inoltre ci si ispirava anche al suo modello "maledetto" ostentando così idee deliberatamente provocatorie che si contrapponevano alla mentalità borghese. Vengono chiamati poeti maledetti proprio per questa volontà di voler dimostrare di essere al di fuori delle regole e per la loro vita piena di eccessi, intensa e particolare e pur di fare questo egli profana tutti i valori e le convenzioni della società rifacendosi quindi anche a droghe alcol o al vizio della carne
Altre figure ricorrenti nelle opere della letteratura decadente sono: l'esteta, l'inetto a vivere e la donna fatale
L'esteta è l'uomo che vuole trasformare la propria vita in un'opera d'arte, rifiuta ciò che lo circonda e si isola in una sdegnosa solitudine, circondato solo da bellezza e arte. Esso rifiuta la società borghese dominata dall'interesse materiale e dal profitto. Contro la mediocrità borghese si pronuncia sentitamente Friedrich Nietszche, la sua filosofia si inserisce nel più vasto movimento di reazione antipositivistica, le sue posizioni sono quelle che hanno avuto più larga risonanza in tutt' Europa.
Esteta è colui che assume come principio regolatore della propria vita il bello. Egli si colloca  al di là di una morale comune, in una sfera di assoluta eccezionalità rispetto agli uomini mediocri. Il bello diviene quindi il principio guida della poetica di questo periodo.
Ne consegue anche che il poeta rifiuta di farsi banditore di idealità morali e civili: l' arte rifugge dalla rappresentazione della realtà storica e sociale e si chiude in una squisita celebrazione di se stessa, depurandosi da tutti gli intenti pratici e utilitaristici; diviene quindi arte pura, poesia pura.

Egli leva con accenti lirici la sua protesta esaltando il vitalismo, l'Eros gioioso e la volontà di potenza e sono tutti aspetti che ritroviamo nella figura del Superuomo
L' inetto a vivere è escluso dalla vita perché non sa parteciparvene per mancanza di forza vitale. È proprio la sua qualità di intellettuale a raggelare i suoi sentimenti e bloccare l'azione.
La donna fatale è una dominatrice che sottomette l'uomo fragile, essa è lussuriosa e ammaliatrice. In questa figura si proietta la paura del femminile dovuto a due fattori
1. Il cambiamento che sta venendo nel mondo e che rende l'uomo sempre più debole
2. L'affermazione sempre più netta dell'emancipazione della donna che rifiuta il suo ruolo tradizionale rivendicando quindi un ruolo nella società

Gli artisti decadenti tendono sempre di più ad arrivare ad una conoscenza non più della realtà ma dell’anima della realtà. Questa attribuzione di nuovi fini alla poesia comporta necessariamente la sperimentazione di nuovi mezzi e di nuove tecniche espressive, crollano così la rima, l'eloquenza, il parnasiano impegno del verso-bassorilievo.
La poesia inoltre accoglie suggestioni dalle altre arti. Grande suggestione la esercita la musica e non si può tacere a proposito di Richard Wagner che in quegli anni realizzò in campo musicale il supremo ideale perseguito dai poeti nuovi.

In questo periodo vi è una forte ammirazione per le epoche di decadenza quali l'età Bizantina, la grecità Alessandrina Imperiale e la tarda latinità Imperiale.
Inoltre è forte il culto per il vagheggiamento, del lusso e della perversione, tant'è che la letteratura decadente è segnata dal sadismo.
Un altro tema decadente è la malattia come metafora della condizione storica. Per malattia  non si intende solo quella umana, ma anche la malattia delle cose: la letteratura decadente ama tutto ciò che è corrotto, impuro e putrescente. Collegata a questo vi è l'ossessione per la morte. 
Questi aspetti tuttavia si contrappongono a tendenze completamente opposte quali il vitalismo e il superomismo che sono l'esaltazione della pienezza vitale senza limiti e la ricerca del godimento dionisiaco.
A ben vedere tali aspetti non sono che l'altra faccia della malattia interiore, del disfacimento, o meglio, la maschera che cerca di occultarli.
La base della visione decadente è un irrazionalismo misticheggiante che esaspera posizioni già presenti nella cultura romantica.
Sulla scia dell' irrazionalismo che caratterizza la fine dell'800 si inquadra Henri Bergson, egli si fa chiamare poeta veggente proprio per la ricerca poetica che persegue, egli oppone due forme di conoscenza: quella intrinseca e quella estrinseca, al prima e al dopo sostuisce la durata, il tempo a sua detta non deve essere più inteso come principio di dissoluzione e distruzione, ma anzi è la forma in cui diventiamo padroni e consapevoli del nostro essere spirituale.

La visione positivistica viene totalmente rifiutata dei gruppi di scrittori d'avanguardia; il decadente infatti ritiene che la ragione e la scienza non possono dare la vera conoscenza del reale, perché la conoscenza di esso è al di là delle cose.
Aspetto fondamentale della visione decadente è la scoperta dell'inconscio e il suo nucleo più autentico. Come strumenti privilegiati del conoscere vengono indicati gli stati abnormi della conoscenza. Questi stati, non essendo limitati dalla ragione, aprono lo sguardo a prospettive ignote permettendo di vedere il mistero nascosto. 
Vi sono poi per i decadenti altre forme di estasi: l’io individuale (non essendo in realtà distinto dal mondo) può annullarsi nella vita del gran tutto. Si definisce tale atteggiamento “panismo” e D’Annunzio lo farà proprio in molte delle sue opere. 

LA POESIA DECADENTE ITALIANA
La poesia decadente italiana è rappresentata maggiormente da D'Annunzio e Pascoli.
Essi si muovono sulla stessa linea dei simbolisti Francesi puntando sulle immagini suggestive che rimandano ad un misterioso al di là delle cose.

LA NARRATIVA DECADENTE
In Italia il modello del romanzo psicologico, su diretta suggestione di Bourget, è ripreso da D'Annunzio nei romanzi del ciclo 《della rosa》,  in essi  il poeta si concentra esclusivamente sull'analisi dell'interiorità, esplorando le zone più segrete dell' io.

Gabriele D'Annunzio

D'Annunzio

La vita di Gabriele D'Annunzio può essere considerata una delle sue opere più interessanti: secondo i principi dell'estetismo bisognava fare della vita un'opera d'arte e D'Annunzio fu costantemente teso al conseguimento di questo obiettivoD'Annunzio nasce a Pescara nel 1863 in una famiglia borghese. Le sue origini influenzeranno la sua poetica e la sua vita da esteta, difatti, D'Annunzio cresce e vive la sua giovinezza negli agi della vita mondana romana,

città in cui egli studiava. Ed è proprio qui che egli elaborerà la propria visione del mondo, portando la sua poetica ad una visione estetizzante della realtà, troviamo, come esempio di questa fase di criticità dannunziana alla realtà, l'opera 《il piacere》, uno scorcio suggestivo della vita mondana della sua epoca. In quest'opera troviamo dunque il suo tentativo di criticare la condizione borghese di cui egli stesso fa parte ma dalla quale cerca di allontanarsi il più possibile attraverso una visione del mondo più articolata e complessa, egli non esita, come detto nel romanzo, a "vivere la vita come un'opera d'arte". Il protagonista del romanzo non è altro che la rappresentazione dello stesso D'Annunzio il quale rifugge la vita borghese ma che ne è così immerso da non potersene allontanare totalmente.

D'Annunzio a fine secolo ha una mutazione del proprio pensiero, influenzato dalla cultura nietzschiana, egli infatti estremizza la funzione dell'estetica portandolo a diventare una figura superomistica, essendo egli portatore di energia vitalistica e produttrice, al contrario della sua controparte giovanile che era appunto un modo di vivere passivo.
L'opera più significativa di questa fase è indubbiamente 《le vergini delle rocce》. In quest'opera D'Annunzio si allontana dalla figura di Andrea Sperelli, il protagonista de 《il piacere》, rappresentando un protagonista forte e conduttore della propria vita come appunto è il Superuomo.
D'Annunzio in quest'opera critica la società italiana e invece trova nei fasti della Roma antica la salvezza del paese postunitario attraverso la nascita di un nuovo re di Roma.
Come detto in precedenza la vita di D'Annunzio si lega strettamente anche con la sua produzione teatrale, egli utilizza le opere drammatiche come strumento per la diffusione delle idee superomistiche. Il D'Annunzio post guerra, dopo aver dimostrato le sue doti di eroe porta a nuovi termini la sua produzione letteraria. Questo accade proprio perché il  poeta vive questo periodo del notturno attraverso una più chiara introspezione dei suoi sentimenti poiché privato della vista vive delle altre percezioni sensoriali portando quindi la sua poesia e la sua letteratura a scontrarsi con l'interiorità del poeta.
Le sue opere di questa fase sono più che altro piccoli frammenti, piccoli pensieri poiché non vi è più una poesia fluviale ma è rappresentazione di un pensiero cristallizzato in un momento in cui il poeta lo mette su carta.

Giovanni Pascoli

Pascoli

Giovanni Pascoli nasce a San Mauro di Romagna il 31 dicembre 1855 da una famiglia di piccola borghesia rurale con dieci figli. La vita del poeta fu presto segnata da una tragedia, quando il 10 agosto 1867, suo padre fu ucciso. A causa dei problemi economici scaturiti da questa morte, la famiglia si trasferì a Rimini. Successivamente Pascoli affronta numerosi lutti: prima la morte di sua madre e di sua 

sorella, in seguito la morte dei fratelli Luigi e Giacomo. Dopo aver ottenuto la borsa di studio per la facoltà di lettere a Bologna, affascinato dall’ideologia socialista, partecipò a manifestazioni contro il governo e fu costretto a trascorrere alcuni mesi in carcere. Si laureò nel 1882 e iniziò la sua carriera come insegnate. Chiamò le sue sorelle Ida e Maria a vivere con sé, ricostruendo il “nido familiare”, protezione dal mondo esterno. Non ebbe relazioni sentimentali poiché la vita amorosa ai suoi occhi appariva proibita. Nel 1895 Ida si sposa, ciò è interpretato dal giovane Pascoli come un tradimento, pertanto sprofonda in una depressione patologica. Dopodichè si trasferì a Castelvecchio con Maria, insegna all’università di Bologna e Messina. Infine si dedica alla stesura delle liriche e negli ultimi anni si diletta a gareggiare con Carducci e D’Annunzio. Muore il 6 aprile 1912 nella sua casa di Bologna, ucciso da un cancro al fegato.
IL PENSIERO
Pascoli riceve formazione positivista tipica della fine dell’ottocento, tuttavia si riflette in lui la crisi del positivismo e la sfiducia nella scienza per conoscere il mondo. Dio per lui è nei limiti del messaggio morale di fraternità, non è teologia. La sua poesia è ricca di valenze allusive e simboliche.
Per reagire al trauma della scomparsa del padre e della madre, Pascoli costruì l'immagine del nido, dove i pulcini superstiti resistono alla perdita del capofamiglia. Il nido rappresenta un luogo caldo e protettivo, che ripara da una realtà esterna minacciosa.
Secondo Pascoli il poeta coincide col fanciullino che vede le cose per la prima volta con ingenuo stupore e ne coglie l’essenza profonda. Al pari di Adamo che da un nome alle cose, trovandosi dinanzi il mondo per la prima volta. Costruisce una poesia pura, spontanea e disinteressata.
Inoltre Pascoli rifiuta la lotta tra classi e la divisione tra alto e basso, difatti utilizza uno stile “elevato” anche per descrivere oggetti umili e dismessi.
Il giovane Pascoli, proveniente da una famiglia di piccola borghesia rurale, declassata e impoverita, trasformò la rabbia che provava in ribellione nei confronti della società e aderì al movimento anarco-socialista (movimento che seguiva il “cuore” e non la “mente”). Pascoli avvertì anche il peso della morte del padre, del disfacimento della famiglia e della povertà. Tuttavia, dopo essere stato arrestato, abbandonò la militanza attiva.
Pascoli sognava una fratellanza tra tutti gli uomini, come resistenza alla vita umana ricca di sofferenza, per tale motivo gli uomini dovevano smettere di farsi del male a vicenda. Una svolta necessaria che il genere umano avrebbe dovuto compiere, secondo Pascoli, sarebbe stata la collaborazione tra le diverse classi sociali, che avrebbero dovuto mantenersi distinte. Il segreto stava nell’accontentarsi di ciò che si aveva. 
Le radici del suo nazionalismo invece vengono dal forte ideale di proprietario rurale: la guerra per la conquista della Libia era necessaria per fornire lavoro e terre ai più poveri tra gli italiani.
SOLUZIONI FORMALI
La sintassi è tipica del novecento. Prevalgono frasi brevi (coordinate), collegate per asindeto. È una sitassi che traduce perfettamente il fanciullino di Pascoli che mira a rendere il mistero e il sogno.
Il lessico mescola tra loro codici linguistici diversi per abolire il divario tra termini aulici e più umili. Troviamo quindi nei suoi testi termini preziosi e aulici, così come termini dialettali, lingue straniere e terminologie ben precise.
Gli aspetti fonici sono in prevalenza produzioni onomatopeiche e non rimandano a un significato concettuale, ma imitano l’oggetto (valore fonosimbolico).
La metrica è tradizionale, tuttavia è utilizzata in modi inediti; ricca di pause e segni di interpunzione.
Le figure retoriche principalmente utilizzate sono l’analogia che arriva al limite del cifrato e la sinestesia che fonde diverse sensazioni.

OPERE
Myricae (1981)- la prima raccolta conteneva 22 poesie dedicate alle nozze di amici; la seconda conteneva 72 poesie, fino ad arrivare alla quinta ed ultima edizione composta da 156 poesie del 1900. Il titolo prende si ispira alla quarta bucolica di Virgilio in cui il poeta sostiene che alzerà il tono del suo canto perché non a tutti piacciono le umili tamerici e gli arbusti. Tuttavia Pascoli assume le tamerici come simbolo delle piccole cose che egli vuole porre al centro della poesia. Si tratta di componimenti brevi che descrivono la vita campestre. Ma si caricano anche di sensi misteriosi e di rimandi alla morte.
Poemetti(1897)- divisi in primi poemetti e nuovi poemetti, ulteriormente divisi in cicli:
-la sementa e l’accestire per i primi;
-la fioritura e la mietitura per i nuovi.
I poemetti diventano veri e propri racconti in versi su una famiglia rurale di Berga (romanzo georigico). Il poeta esalta la piccola proprietà rurale, ricca di valori tradizionali che si sono persi nella realtà contemporanea. La vita nella campagna è come in un rifugio rassicurante. Pascoli mescola la semplicità contadina con la preziosa raffinatezza di uno stile sublime.
Al di fuori della vita contadina, vi sono poi numerosi poemetti che presentano temi più inquietanti, come digitale purpurea che narra di una pianta mostruosa che succhia la vita di un albero da frutto, o suor Virginia in cui vige un’atmosfera di morte.
Canti di Castelvecchio (1903)-si propongono di continuare la linea della prima raccolta, quindi torna la misura più breve e lirica. I componimenti rappresentano le stagioni che si susseguono. Vi è il tema della tragedia familiare che ossessiona il poeta. Persiste anche un rimando del nuovo paesaggio di Castelvecchio con quello della Romagna. Inoltre non mancano i temi più inquieti: è il caso di la mia sera che affronta il tema della morte al pari del rifugio materno.
Poemi conviviali (1904)- chiamati così per la loro comparsa sulla rivista esteta “il Convito”. I temi sono quelli mitologici e compaiono Achille, Ulisse, Elena di Troia, Socrate e Alessandro Magno. L’intento è quello di rappresentare aspetti poco noti del mito.
Carminia (1915)- si tratta di trenta poemetti e settantuno componimenti per il concorso di poesia latina di Amsterdam. Furono raccolti e pubblicati dopo la morte del poeta. Dedicati a personaggi umili e marginali della vita romana (umili schiavi, gladiatori),si delinea un messaggio simile a quello cristiano di riscatto.
Il fanciullino (1897)- fa parte dell’attività saggistica di Pascoli. Nello scritto risaltano i punti essenziali della sua poetica, che saranno poi presenti in Myricae e nei poemetti. Tali punti sono: la conoscenza tipica del fanciullino, che vede le cose per la prima volta e ne coglie l’essenza profonda; la poesia pura senza finalità esterne, che indica una società senza conflitti in cui gli uomini sono affratellati; il rifiuto della separazione degli stili, in quanto il linguaggio poetico raffinato va utilizzato per descrivere anche cose piccole e umili, non solo per quelle sublimi e aristocratiche. Quest’ultimo concetto è espresso in Myricae, il cui titolo è ispirato alla quarta bucolica di Virgilio. Ne emerge il riflesso della profonda conoscenza della lingua e della letteratura greco-latina da cui trae ispirazione l’arte pascoliana.
 

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