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L'evoluzione della poesia

L'evoluzione della poesia

È a partire dal periodo di fine Ottocento che si vanno a delineare una serie di cambiamenti e innovazioni dal punto di vista tecnico, semantico e tematico che caratterizzeranno lo sviluppo della poesia sino ai giorni nostri.

Il nostro percorso incomincia a partire dal periodo neoclassicistica che celebra i temi classici, sviluppandoli attraverso l’utilizzo di un lessico aulico ed elevato, giungendo in tal modo ad una perfezione formale che voleva riprodurre quella antica.

La corrente romantica si allontana dalla riproduzione meccanica dei modelli antichi, dando più spazio all'espressione dello stato d’animo del poeta, il quale si serve di un lessico vario e un linguaggio più accessibile. Successivamente, alla figura dell’eroico e titanico romantico si contrapporrà nel corso del Decadentismo quella del poeta maledetto (o simbolista), condotto dalla sfiducia nel genere umano a rifugiarsi in una realtà altra, oscura, alla quale riesce ad accedere attraverso il simbolo, la metafora e l’analogia. I poeti maledetti eserciteranno inoltre un’enorme influenza sul gruppo degli Scapigliati in Italia, i quali riprenderanno sia l’insofferenza nei confronti della società positivista tipica del poeta decadente sia il culto estetizzante dell’arte presente nella corrente Parnassiana.

All'interno dello scenario decadente italiano rientra a far parte anche Giovanni Pascoli  il quale apporterà importanti modifiche all'aspetto metrico e linguistico della poesia, procedendo - ad esempio -  con la frammentazione del verso e l’introduzione di termini stranieri tratti dall'inglese. Egli utilizza inoltre il verso libero, che rappresenterà la forma metrica più utilizzata nel corso del novecento, specialmente da autori come Gabriele D’Annunzio nelle “Laudi” , dai poeti crepuscolari e vociani e Dino Campana. Il verso libero raggiungerà infine la sua massima autonomia con Ungaretti.

Successivamente, Umberto Saba fonderà innovazione linguistica, tradizione e continuità metrica. Con Eugenio Montale tale processo continua nell’utilizzo del verso libero pronto ad ospitare la suggestione della metrica barbare e gli schemi metrici tradizionali.

Neoclassicismo

Neoclassicismo

La lirica neoclassica italiana riproduce ed accentua le caratteristiche della tradizione del classicismo: il lessico aulico e dotto, costellato di latinismi e voci arcaiche, remote dal linguaggio comune; la sintassi modellata su quella latina, con metri chiusi tradizionali e una sovrabbondante ornamentazione retorica. Qui si colloca la poesia foscoliana che presenta molte inversioni latineggianti, altrettanti aggettivi esornativi e metafore. Anche se quest’esercizio può sembrare vuoto e ripetitivo, per il poeta assume un’autentica vitalità poiché il classicismo è una forma necessaria per la sua sensibilità e la sua visione del mondo, animata dalla fiducia di poter riportare in vita l’armonia del mondo greco in forme poetiche attuali. Questa tensione verso il mondo antico è già colma di spirito romantico.

 

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La lirica del romanticismo tedesco, inglese, francese introduce straordinarie innovazioni nel linguaggio poetico, sul piano fonico, ritmico, sintattico, lessicale, metrico, nei traslati e nell’uso delle immagini. Proprio soffermandoci su quest’ultime che possiamo evidenziare determinate innovazioni. Ricordiamo la “Tigre” di Blake con un intenso uso metaforico; “Ode to the West Wind” di Shelley che presenta un immaginazione sfrenata che si esprime in un accumulo di immagini; “Ode on a Grecian Urn” dove le immagini appaiono nitide ed armoniche, come vagheggiamento delle forme antiche; “Booz” di Hugo con una fluente onda musicale in modo da rendere un’atmosfera si sospensione arcana; “Nerval” le quali immagini acquistano un’intensità fortemente suggestiva dovuta alla densità oscura e cifrata delle stesse; Baudelaire che si colloca tra la letteratura romantica e quella simbolista con il testo esemplare “Spleen” che propone immagini violente, strane, quasi urtanti che creano un contrasto tra il tono sublime e tragico e le realtà esterna ripugnanti.

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La lirica europea rivoluziona profondamente la visione del mondo, ma la nostra letteratura del primo ‘800 non è paragonabile alle poesie europee. Ad esempio, Berchet fa prevalere temi pratici, politici e civili con intento di incitamento all’azione e sollecitando un sentimento di patria. Si ha, dunque, un ritmo cadenzato verso il decasillabo caratterizzato da accenti ritmici che cadono sempre sulle stesse sillabe. Presenta un lessico più comune con una sintassi più semplice, l’ornamentazione è più sobria e meno ricercata rivolta più a una forma popolare. La poesia cosmica e religiosa di Tommaseo presenta maggiore ampiezza di visione e arditezza di immagini, ma non vi sono innovazioni nei confronti del linguaggio. Tale azione è portata avanti da Porta e Belli che utilizzano il dialetto che consente un’eccezionale presa sul reale, un’ampia varietà lessicale, di sintattica, di immagini e di modi di dire. La lirica manzoniana segna un forte stacco rispetto a quella neoclassica. Manzoni opta per una poesia popolare che possa interpretare i sentimenti di un vasto pubblico e sceglie svelti settenari dal ritmo incalzante come nella “Pentecoste” e nel “5 maggio”, oppure il decasillabo o dodecasillabo, altrettanto ritmati e cadenzati, volti però a una poesia civile che mira ad incitare, a persuadere. La sintassi è semplice come il lessico che presenta termini più comuni.

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La poesia del novecento, a differenza della poetica della tradizione ottocentesca , è caratterizzata da una serie di innovazioni, date dalla sperimentazione di nuove forme metriche e dall’adozione di nuovi registri linguistici.

Pascoli è uno dei poeti più importanti del panorama italiano del novecento, grazie al quale la lirica italiana si è avvicinata al processo di innovazione. Nella poetica pascoliana sembrano sussistere ancora le istituzioni metriche tradizionali, come l’adozione della rima, il rispetto delle lunghezze dei versi e la scelta del modello metrico da seguire ( basti pensare alla metrica Barbara di Carducci). Ad una prima  lettura  non si avverte la presenza di innovazioni rilevanti, ma andando oltre questa convinzione noteremo che Pascoli è il più innovativo di tutti: Il poeta ha infatti contribuito alla frantumazione dell’endecasillabo cantato e solenne, che avrà molte conseguenze, tra le quali l’espansione del verso libero.

Il verso libero viene adottato nella sua forma più vistosa da Gabriele D’Annunzio. Tale istituzione metrica sarà essenziale per la poetica novecentesca ed è pertanto  fondamentale distinguerla dal verso sciolto: I versi sciolti sono versi che non seguono schemi precostituiti di strofe e rime, mentre  in quelli  liberi il poeta costruisce il suo schema e lo adatta alla sua poesia. Ci sono state diverse soluzioni  di verso libero, come la soluzione polimetrica, ma anche il riadattamento della metrica Barbara. La soluzione polimetrica prevede l’adozione di metri (settenario, novenario etcc.), che si alternano senza alcuna regolarità. Il riadattamento barbaro consiste nella ripresa di soluzioni già sperimentate per formare l’esametro e il pentametro.

Durante il novecento sono in molti ad utilizzare questo nuovo mezzo per esprimersi, D’Annunzio non è il solo, in quanto a lui si uniscono anche Lucini e Campana. Altri poeti decidono di mediare  le istituzioni metriche tradizionali  con nuove forme linguistiche.  Saba si colloca tra questo gruppo di poeti e fu capace di creare una poesia  originale. Nello stesso periodo, Palazzeschi si farà portatore di una poesia nuova, volta alla frantumazione delle istituzioni metriche e alla sliricalizzazione della poetica. Egli  è ricordato anche per l’uso grottesco e straniante della rima.

La dialettica tra tradizione e innovazione, introdotta da Saba, sarà protagonista anche nella poetica di Gozzano. La sua poesia è caratterizzata dalla sliricalizzazione dei toni, dall’adozione degli elementi prosaici e umili della realtà, che si mescolano con forme metriche tipiche della tradizione. Gli elementi che ritroviamo nel crepuscolarismo si legano a schemi metrici sofisticati, come il distico di doppi novenari. La tradizione è ripresa con una forte ironia, il che dimostra l’impossibilità di una totale adesione agli schemi metrici tradizionali.

Il rapporto tra tradizione e innovazione si fa strada anche in Ungaretti, nella cui poetica troviamo la fase dell’eversione (frantumazione del verso tradizionale) e la fase della restaurazione (recupero dell’endecasillabo e settenario). La scuola ermetica proverà a restaurare e riconquistare la dimensione lirica, opponendosi pertanto al processo di sliricalizzazione. Il movimento ermetico preferisce le parole letterarie alle parole di matrice colloquiale.

Anche la poetica di Montale continua il processo dialettico tra tradizione e innovazione . È importante sottolineare che la sua poesia non è solo un allontanamento dai toni aulici e sublimi, perché la sua poetica è volta anche   alla ripresa di elementi tradizionali considerati essenziali. Tra gli elementi più importanti ricordiamo le unità metriche (endecasillabo, settenario) e gli artifici retorici (rima, rima al mezzo) . Il poeta genera una poesia incredibile, caratterizzata da un andamento colloquiale e discorsivo, mescolato a caratteristiche provenienti dalla tradizione. Nelle sue poesie il verso libero è pronto ad ospitare suggestioni della metrica barbara e schemi metrici tradizionali.

È possibile paragonare Montale e Ungaretti, in quando nel primo la fase della tradizione e innovazione coesistono, mentre nel secondo si articolano in due fasi diverse.

Nel panorama novecentesco è opportuno parlare della figura di Pavese, il quale critica fortemente le parole utilizzate dal movimento ermetico per la loro rarefazione. Il suo modello è lo scrittore americano Walt Withman. Seguendo l’esempio di quest’ultimo, Pavese costruisce un verso libero, che comprende diversi ritmi narrativi ed è caratterizzato da una quotidianeità dal punto di vista lessicale e di situazioni.

La metrica più complessa di questi anni è quella adottata da Pasolini: il suo intento è infatti quello di recuperare gli schemi discorsivi della poesia dell’Ottocento italiano ed europeo, questo procedimento viene attuato grazie ai “Poemetti” di Pascoli, di cui riproduce il metodo narrativo della terzina dantesca.

Nei primi decenni del secolo nasce una nuova tendenza che può trovare esemplificazione nella produzione di Clemente Rebora. Egli rappresenta l’espressione più alta di quella tendenza espressionistica che, assieme a una forte coscienza morale, arriva alla concezione della poesia come manifestazione di un impegno esistenziale. Le scelte formali del poeta milanese sono forti e violente e colpiscono il lettore: il lessico è originale e selezionato in base alla durezza fonica, gli enjambement creano rotture brusche così come l’alternanza di versi brevi e lunghi.

Ma con l’esperienza ermetica (comprendendo la carriera di Ungaretti e la produzione della scuola ermetica) si ritorna alla fase del recupero dell’aulico. La produzione di Ungaretti parte dalla “rivoluzione” metrica e lessicale dell’Allegria  e approda alla restaurazione: l’adozione dell’endecasillabo e del rapporto endecasillabo/settenario, una poesia alta e solenne con un linguaggio adeguato.

A questa intensità lirica si oppone Pavese con Lavorare Stanca, una raccolta di componimenti privati di ogni intonazione lirica sia per il registro linguistico adottato sia per l’impianto narrativo-descrittivo.

Montale invece usa spessi termini d’uso o anche tecnici e allo stesso tempo termini di chiara estrazione letteraria. Ne deriva una lingua poetica di assoluta novità nel panorama del 900, in cui un impianto prosastico e discorsivo può assumere intensità lirica.

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La poesia del Novecento è caratterizzata da una serie di innovazioni dal punto di vista metrico, ma anche linguistico, poiché sono tanti i poeti che in questo periodo si sono impegnati ad esplorare nuovi campi stilistici e linguistici.

Questo percorso di innovazione non può non iniziare da Pascoli, il quale realizza una lingua originale e nuova, che si differenzia dalla tradizione letteraria che esige un lessico codificato e sublime. La poesia ottocentesca era disegnata su un <<consustanziale petrarchismo>> , in quanto  era una poetica che imponeva un << assetto monolinguistico>>. Solo Leopardi riuscì in parte a sfuggire da queste specifiche soluzioni, ad esempio, creando un legame tra le parole << caro >> ed <<ermo>> .

Successivamente Carducci tenterà di restaurare la tradizione, adattandola però alle esigenze della lingua italiana moderna. Pascoli riesce ad evadere da questi confini, creando un linguaggio straordinariamente nuovo: Il linguaggio pascoliano è caratterizzato dall’onomatopea, grazie al quale Pascoli crea la fitta trama fono-simbolica, che dà vita alla sua poesia. Un altro elemento innovativo è l’uso dei termini tecnici,  definiti linguaggi settoriali (<<cavagno>>, << laveggio>>). La poesia di Pascoli presenta anche termini estranei alla lingua italiana, in quanto il poeta introduce parole della lingua inglese, questo è il caso della sua opera “Italy”.

Dal punto di vista sintattico, Pascoli è ricordato per il frequente uso della paratassi, che si differenzia dalle sublimi evoluzioni sintattiche dell’Ottocento . Egli introduce pertanto la tendenza anti-aulica che caratterizzerà tutto il Novecento.

La cosa importante da sottolineare è che Pascoli, nonostante dia vita a questo processo di cambiamento, trasmetterà a D’Annunzio e a diversi poeti del Novecento quel gusto antico e alessandrino, grazie ad opere come i “Poemi conviviali.”

D’Annunzio si differenzia da Pascoli, in quanto il suo linguaggio è volto alla ricerca della preziosità e della vistosità della parola. L’opera dannunziana è una sorta di restaurazione, che elimina le innovazioni pascoliane. D’Annunzio è attratto dai termini sublimi e arcaici. Egli sceglie le parole per la valenza aulica e musicale, ma sopratutto per gli echi che la parola evoca. La sua ideologia e la sua personalità superomistica si riflettono nella sintassi, costituita da ampi e sinuosi costrutti, che donano alla poesia una forte vistosità.

Negli anni in cui D’Annunzio è intento a creare una preziosa lingua letteraria, si generano nel contesto poetico tendenze opposte. Poeti come Saba e il movimento del Crepuscolarismo rinunciano ai toni tradizionali, arrivanndo alla sliricalizzazione della poetica . La poesia acquisisce un linguaggio più colloquiale e dismesso.

Il linguaggio di Saba è basato su una precisione semantica, non ricerca la musicalità delle parole come D’Annunzio.

Gozzano, uno degli esponenti principali del crepuscolarismo, crea un linguaggio caratterizzato da elementi aulici, che si mescolano ad elementi umili e quindi a termini più sobri e usuali.

È evidente che la poetica portata avanti da Saba e dallo stesso Gozzano è il prodotto del rifiuto dei valori superomistici-dannunziani, nel corso del tempo il concetto di poesia e di poeta vate vengono messi in discussione.

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Nell’Ottocento il termine ‘avanguardia’ veniva utilizzato per indicare un gruppo a capo di movimenti rivoluzionari. Nel Novecento si estese, invece, per designare anche movimenti letterari e artistici, e venne utilizzato a proposito delle attualmente nominate ‘avanguardie storiche’. In questo periodo raggiungono il loro apice delle condizioni già avviate a partite dal secondo Ottocento come ad esempio la trasformazione del prodotto letterario e artistico in semplice merce. L’avanguardia, si oppone proprio a questa mercificazione, il tentativo di questi artisti è quello di respingere l’asservimento all’industria il quale rende gli artisti ‘operai’ perdendo il loro ruolo di ‘artisti’ e ‘creatori’ di bellezza.

Ciò che caratterizza l’avanguardia è la totale assenza di un canale di comunicazione col pubblico, con la sperimentazione di forme nuove, linguaggi mai utilizzati prima d’ora con l’intento di provocare e scandalizzare il pubblico. Il rinnovo non si ebbe solo nei contenuti ma anche sulle forme letterarie. La forma poetica di inizio Novecento si distacca totalmente dagli schemi e dalle leggi rigide della tradizione, nonostante ci siano stati dei primi tentativi nella rivoluzione romantica che abbandonò alcune forme di versificazione.

Nella poetica italiana rimase a lungo una situazione di compresso tra la ricerca e il coesistente, un esempio è costituito dalle Odi Barbare di Carducci, in cui il poeta, propone di imitare i versi della poesia classica attendendosi alla metrica accentuativa italiana. Al contempo Giovanni Pascoli rimane il caso più significativo per questa fase di passaggio; egli, infatti, pur adottando forme metriche tradizionali finisce per apportarvi trasformazioni profonde. Egli criticò aspramente il verso libero utilizzato in Italia da Petrarca a Leopardi, sottolineandone la malleabilità. La poetica delle ‘piccole cose’ e l’allontanamento dalle forme illustri privilegia le parole di uso comune e di semplice comprensione, il discorso diretto e l’inserimento di una vistosa componente plurilinguistica. Per rendere l’espressione ancora più semplice e familiare la sintassi fu sostituita dalla paratassi. Un’altra novità fu lo stile nominale, il quale, rende l’espressione più coincisa essendo privata del verbo. Sono numerosi poi i versi esclamativi, interrogativi e le particelle monosillabiche, in questo periodo diventa frequente, inoltre, l’uso dei versi “ipermetri” in cui le sillabe che superano la misura prestabilita del verso vengono riassorbite da quello che precede o segue. Allentando la compattezza sintattica il significante inizia a prendere il sopravvento sul significato con l’utilizzo di frequenti onomatopee create per dare vita alle voci della natura.

Oltre all’onomatopea, una notevole rilevanza riveste l’allitterazione, figura retorica che consiste nella ripetizione spontanea o ricercata di lettere o sillabe (o semplicemente di suoni uguali o affini) all’interno di una frase, ricomponendo i suoni della parola anche all’interno di un più ampio contesto poetico. Le parole vengono pertanto scelte obbedendo non solo a ragioni logiche, bensì formali: l’autore è difatti alla ricerca di suoni che indaghino la natura misteriosa, carica di implicazioni profonde (basti pensare, ad esempio, al “Gelsomino notturno” di Pascoli”). Al fonosimbolismo si affianca inoltre la sinestesia, che mette in contatto sensazioni derivate da diversi ambiti sensoriali. Particolare sonorità è data, all’interno di un verso, dalla presenza di termini caratterizzati dalla desinenza “-io”.  («tintinnio», «pigolio», «brusio», «voclo», «brulichlo», «mormorlo», «tremolio», ecc.), solitamente affiancati da aggettivi come «tinnulo», «stridulo» che contribuiscono a donare al verso una musicalità vibrante e oscillante.

Alla base di tutto il simbolismo pascoliano vi è la natura, che viene comunque descritta dal poeta facendo riferimento a realtà concrete. La sua ricerca poetica, infatti, può essere inizialmente considerata di impianto naturalista (basti pensare ai numerosi termini relativi alla botanica e alla ricerca scientifica). È bene tuttavia precisare che il naturalismo pascoliano tenda continuamente a sfaldarsi e a frantumarsi, favorendo in tal modo la costruzione simbolica del discorso; ciò si esprime, come già accennato in precedenza, con l’aspetto ritmico e metrico, caratterizzato da un carattere franto e spezzato. L’utilizzo di un’elaborata e raffinata perizia formale, che si traduce soprattutto nella scelta di vocaboli esatti e precisi, è volta ad esaltare il legame della poesia con la realtà concreta, concezione che - inevitabilmente - si contrappone alla poetica di Leopardi, sostenitore per eccellenza del “vago e dell’indefinito”.

Per Pascoli, al contrario, bisogna far uso del termine preciso che indichi precisamente la cosa alla quale si riferisce, in quanto è dai sentimenti più comuni, dalla realtà animata e riscoperta dallo sguardo del “fanciullino”, che nasce l’analogia. Alla “poetica delle cose” di Pascoli si affianca la cosiddetta “poetica della parola” sostenuta da Luciano Anceschi e, specialmente, da D’Annunzio; diversamente da Pascoli, egli pone la parola al culmine di un’attenta ricerca formale, risaltandone la musicalità e proponendola - ed è qui che sta la differenza - come un elemento, un valore che è troppo prezioso per essere associato all’esperienza concreta. Per D’Annunzio, infatti, la parola è “divina”, e tale concezione non è che l’espressione di un ideale di “pura bellezza”. 

Ne deriva che L’intento di D’Annunzio non sia quello di corrodere dall’interno le forme poetiche - così come ha invece fatto Pascoli - bensì di esplorarne le numerose variazioni e combinazioni, finendo comunque per mostrare una certa insoddisfazione nei confronti della metrica tradizionale.

Il significato diviene pertanto subordinato al significante, cioè alla musicalità del suono e ai molteplici significati nascosti della parola, a dispetto di ogni schema o regola.

Tale concezione influenzerà molti degli autori del Novecento, anche se essa è nettamente diversa dal “Dannunzianesimo”, ossia l’imitazione da parte degli scrittori delle opere e del “vivere inimitabile” di D’Annunzio.

Per quanto riguarda le numerose innovazioni in ambito poetico, anche i versi di Gozzano - così come quelli di Pascoli - corrodono l’impianto tradizionale modificandone la metrica. Egli, in quanto crepuscolare, fa utilizzo della parola comune (in senso non lirico, quanto prosaico) nonché di numerosi puntini di sospensione che - specialmente nei versi de “l’Amica di nonna speranza” - contribuiscono a donare all’opera un andamento più lento e spezzato da continue interruzioni.

In quello che è il ritratto di un’atmosfera provinciale e bigotta di un salotto torinese di fine ottocento (“l’Amica di nonna speranza”) i puntini sospensivi non rappresentano in Gozzano un momento di sospensione contemplativa, bensì contribuiscono ad alterare completamente la struttura del verso, privandolo di ogni coerenza logica e conferendo al testo una carica ironica e parodica; La rottura dell’impianto poetico tradizionale è inoltre data dai numerosi contrasti. Inoltre, se in Pascoli l’ipermetria dei suoi versi viene compensata, ciò non avviene in Gozzano e nei crepuscolari -nonché in Montale- i quali fanno uso di una rima imperfetta, che prevede l’alternarsi di parole piane e parole sdrucciole. Altra fonte di rinnovamento sta nell’utilizzo del verso libero, adatto alle esigenze degli autori del Novecento in quanto esso rifiuta le forme della lirica tradizionale. In Italia il verso libero viene trattato da autori come: Giulio Orsini, Gian Pietro Lucini (il quale, oscillante tra Scapigliatura e Futurismo, introduce in Italia la poetica simbolista, criticando la borghesia). Il verso libero incontra specialmente le esigenze dei futuristi, il cui scopo è per l’appunto quello di abbattere tutte le regole convenzionalo, e dei “vociani” che se ne servono per rappresentare problematiche reali o delineare i contorni dei loro panorami interiori. Esso viene utilizzato dai crepuscolari, specialmente da Corazzini, e persino da Saba il quale non rifiuta l’impiego di forme più tradizionali,

Al fine di favorire la ricerca interiore e individuale, inoltre, la musicalità e il ritmo (dovuto all'alternarsi di sillabe toniche e atone, accentate e prive di accenti) divengono fondamentali; è oramai la poesia “padrona” di se stessa, creatrice dei propri schemi, aperti e mutevoli: gli accenti non cadono più in punti precisi, mentre i versi non sono più uniformi ma di varia lunghezza. La rima entra in un più libero gioco di corrispondenze; tra queste, la rima interna è sicuramente la più importante al fine di donare musicalità al verso.

Colui che raggiunge un messaggio poetico completamente disarticolato, costruendo i versi su elementi del tutto neutri ed estendibile a piacere, riducendosi anche ad una sola parola, è proprio Ungaretti. Egli, seguendo la lezione di Mallarmé, la parola risulta isolata nello spazio della pagina, in una specie di vuoto e di silenzio. Questo procedimento di distruzione del verso riguarda la prima fase dell’attività ungarettiana, quella dell’Allegria. Nella fase successiva, Ungaretti tende a ricomporre il verso accentuando i principi di versificazione livera, quelli più complessi ed elaborati, così come verrà proseguita dall’Ermetismo. Rappresentano, dunque, un ritorno ai moduli tradizionali, direzione seguita da Eugenio Montale. Già nella sua prima raccolta, Ossi di seppia, egli utilizza strutture metriche e strofiche tradizionali, mantenendo però la libertà di intervento e di scelta. Cesare Pavese, invece, prenderà tutt’altra posizione, rifiutando la poesia come espressione dell’io. Egli propone la “poesia-racconto” che riscopre una realtà comune e concreta. A questo scopo, lo scrittore decide di utilizzare in diverso tipo di verso, del tutto personale, denominato “verso lungo”, superiore all’endecasillabo. Possiamo, dunque, dire che il verso libero del novecento si divide tra due estremi: la “parola” di Ungaretti e il “verso libero” di Pavese che rappresentano rispettivamente due diversi modi di vivere la poesia, come esperienza interiore o come distesa narrazione di fatti ed eventi.

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Evoluzione delle strutture metriche del Novecento

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