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La bomba atomica

La bomba atomica

La Bomba atomica ("bomba A" secondo

una terminologia originaria) è il nome

comune della bomba a fissione nucleare,

un ordigno esplosivo, appartenente al gruppo

delle armi nucleari, la cui energia è prodotta da una reazione a catena di fissione nucleare. Nell'uso moderno il termine "bomba atomica" (talvolta "bomba nucleare") viene usato anche per indicare armi di quest'ultimo tipo, cioè le armi termonucleari, in quanto queste ultime costituiscono quasi interamente gli arsenali nucleari di oggi. Questa voce descriverà principalmente le armi del primo tipo, cioè le bombe a fissione, il cui meccanismo costituisce comunque anche l'innesco delle bombe a fusione e quindi è contenuto anche in queste ultime. Si basa su un processo di divisione del nucleo atomico di un elemento pesante, detto fissile, in due o più nuclei di massa inferiore, provocato dalla collisione con un neutrone libero. La rottura del nucleo produce a sua volta, oltre che nuclei più leggeri, anche solitamente qualche altro neutrone libero, oltre ad una quantità molto significativa di energia. Se il materiale fissile ha un grado di concentrazione sufficiente ed è in una massa sufficientemente grande, detta massa critica, i neutroni liberi prodotti a loro volta sono in grado di colpire nuovi nuclei di elemento fissile, producendo una reazione a catena che si propaga per tutta la massa di materiale e liberando una enorme quantità di energia in un tempo brevissimo. Il fondamento teorico è il principio di equivalenza massa-energia, espresso dall’equazione E=mc² prevista nella teoria della relatività ristretta di Albert Einstein. Questa equivalenza generica suggerisce in linea di principio la possibilità di trasformare direttamente la materia in energia o viceversa. Einstein non vide applicazioni pratiche di questa scoperta. Intuì però che il principio di equivalenza massa-energia poteva spiegare il fenomeno della radioattività, ovvero che certi elementi emettono energia spontanea.
Successivamente, si avanzò l’ipotesi che alcune reazioni che implicano questo principio potevano effettivamente avvenire all’interno dei nuclei atomici. Il “decadimento” dei nuclei provoca un rilascio di energia. L’idea che una reazione nucleare si potesse anche produrre artificialmente e in misura massiccia, sotto forma cioè di reazione a catena, fu sviluppata nella seconda metà degli anni trenta in seguito alla scoperta del neutrone. Alcune delle principali ricerche in questo campo furono condotte in Italia da Enrico Fermi. Un gruppo di scienziati europei rifugiatisi negli Stati Uniti d’America (Enrico Fermi, Leó Szilárd, Edward Teller ed Eugene Wigner) si preoccuparono del possibile sviluppo militare del principio. Nel 1939, gli scienziati Fermi e Szilard, in base ai loro studi teorici, persuasero Albert Einstein a scrivere una lettera al presidente Roosevelt per segnalare che c’era la possibilità ipotetica di costruire una bomba utilizzando il principio della fissione ed era probabile che il governo tedesco avesse già disposto delle ricerche in materia. Il governo statunitense cominciò così a interessarsi alle ricerche.
Enrico Fermi proseguì negli Stati Uniti nuove ricerche sulle proprietà di un isotopo raro dell’uranio, l’uranio-235, fino a ottenere la prima reazione artificiale di fissione a catena autoalimentata: il 2 dicembre 1942, il gruppo diretto da Fermi assemblò a Chicago la prima “pila atomica” o “reattore nucleare a fissione” che raggiunse la condizione di criticità, costituito da una massa di uranio naturale e grafite disposti in maniera eterogenea.
Pochi mesi prima, nel giugno del 1942, in base ai calcoli fatti in una sessione estiva di fisica all’università della California guidata da Robert Oppenheimer, si era giunti alla conclusione che era teoricamente possibile costruire una bomba che sfruttasse la reazione di fissione a catena. La sua realizzazione tecnica richiedeva però enormi finanziamenti.
Gran parte dell’investimento sarebbe servito per produrre uranio sufficientemente “arricchito” del suo isotopo 235, o una quantità sufficiente di plutonio-239. I calcoli indicavano infatti che per produrre una massa critica occorreva una percentuale di arricchimento, cioè una concentrazione di isotopo fissile, molto più alta di quella necessaria per un reattore nucleare.
La prima bomba atomica fu realizzata con un progetto sviluppato segretamente dal governo degli Stati Uniti. Il programma assunse scala industriale nel 1942 (cfr. Progetto Manhattan). Per produrre i materiali fissili, l’uranio-235 e il plutonio-239, furono costruiti giganteschi impianti con una spesa complessiva di due miliardi di dollari dell’epoca. I materiali (escluso il plutonio prodotto nei reattori dei laboratori di Hanford nello stato del Washington e l’uranio prodotto nei laboratori di Oak Ridge) e i dispositivi tecnici, principalmente il detonatore a implosione, furono prodotti nei laboratori di Los Alamos, un centro creato apposta nel deserto del Nuovo Messico. Il progetto era diretto da Robert Oppenheimer e includeva i maggiori fisici del mondo, molti dei quali profughi dall’Europa. La prima bomba al plutonio (nome in codice “The Gadget”) fu fatta esplodere nel “test Trinity” il 16 luglio 1945 nel poligono di Alamogordo, in Nuovo Messico. La prima bomba, all’uranio, (“Little Boy”) fu sganciata sul centro della città di Hiroshima il 6 agosto 1945. La seconda bomba, al plutonio, denominata in codice “Fat Man”, fu sganciata invece su Nagasaki il 9 agosto 1945. Questi sono stati gli unici casi d’impiego bellico di armi nucleari, nella forma del bombardamento strategico.
L’Unione Sovietica recuperò rapidamente il ritardo; Stalin attivò la cosiddetta operazione Borodino che, grazie alla ricerca sovietica e anche all’apporto di spie occidentali, raggiunse inattesi successi. La prima bomba a fissione venne sperimentata il 29 agosto 1949, ponendo così fine al monopolio degli Stati Uniti. Il Regno Unito, la Francia e la Cina sperimentarono un ordigno a fissione rispettivamente nel 1952, nel 1960 e nel 1964. Israele costruì la prima arma nel 1966, si ritiene effettuò un test insieme al Sudafrica nel 1979, e il suo arsenale è tuttora non dichiarato. L’India effettuò il suo primo test nel 1974. Il Pakistan cominciò la produzione di armi nucleari nel 1983 ed effettuò un test nel 1998. La Corea del Nord effettuò un primo test nel 2006. Le testate nucleari, basate sia sul principio della fissione nucleare che
della fusione termonucleare possono essere installate, oltre che su bombe aeree, su missili, proiettili d’artiglieria, mine o siluri.
Nel 1955 fu compilato il Manifesto di Russell-Einstein: Russell ed Einstein promossero una dichiarazione invitando gli scienziati di tutto il mondo a riunirsi per discutere sui rischi per l’umanità delle armi nucleari.
Il Sudafrica, che aveva cominciato la produzione di bombe atomiche nel 1977, è stato l’unico paese a cancellare volontariamente il suo programma nucleare nel 1989, smantellando sotto il controllo dell’AIEA tutte le armi che aveva già costruito.

Gas per uso bellico

Gas per uso bellico

La guerra chimica è un tipo di guerra non

convenzionale dove s’impiega una tipologia

di armi di distruzione di massa sia a scopo

tattico (limitatamente al campo di battaglia),

che strategico (esteso anche alle retrovie ed ai centri di rifornimento del nemico). Questa categoria comprende la guerra chimica vera e propria e la guerra tossicologica (che utilizza prevalentemente veleni di origine biologica). I tedeschi furono i primi ad utilizzare armi chimiche durante la prima guerra mondiale, ricorrendo a gas lacrimogeno. Il primo impiego su vasta scala avvenne nella Seconda battaglia di Ypres (22 aprile 1915), quando i tedeschi attaccarono le truppe francesi, canadesi e algerine con gas di cloro. I morti furono pochi, ma gli intossicati furono relativamente numerosi. Un totale di 50.965 tonnellate di agenti polmonari, lacrimogeni e vescicanti furono impiegati dalle due parti su questo fronte, tra cui cloro, fosgene e iprite. I rapporti ufficiali dichiararono circa 1.176.500 casi di intossicazione non letale, e 85.000 vittime direttamente causate da agenti chimici durante la guerra.
Oggigiorno è ancora frequente che vengano alla luce munizioni inesplose contenenti agenti chimici, quando si scava nei campi di battaglia o nelle zone di deposito, e ciò continua a costituire un rischio per le popolazioni civili soprattutto del Belgio e della Francia (dove l’impiego fu massimo), meno comunemente in altre zone. I governi belga e francese hanno perciò dovuto predisporre appositi programmi per il trattamento delle munizioni rinvenute.
Dopo la guerra, molta parte degli agenti chimici rimasti ai tedeschi venne gettata nel mar Baltico, come pure fecero gli altri contendenti in altre zone di mare. Nel corso del tempo l’acqua salata ha corroso gli involucri dei proiettili, e occasionalmente l’iprite fuoriesce dai contenitori raggiungendo la riva sotto forma di una sostanza cerosa simile ad ambra. Anche in forma solida l’agente è abbastanza attivo da causare gravi ustioni chimiche a chi lo tocca. Dopo la Prima guerra mondiale, gli Stati Uniti e molte potenze europee tentarono di trarre vantaggio dalla guerra tentando di creare o consolidare un proprio impero coloniale. In questo periodo gli agenti chimici furono occasionalmente utilizzati per sottomettere le popolazioni e reprimere le ribellioni.
Dopo la sconfitta del 1917, l’Impero ottomano collassò del tutto, e fu diviso fra le potenze vittoriose, in base al Trattato di Sèvres. La Gran Bretagna occupò la Mesopotamia (l’odierno Iraq) e stabilì un governo coloniale.
Nel 1920 gli arabi e i curdi della Mesopotamia si ribellarono all’occupazione britannica; quando la resistenza guadagnò forza i britannici ricorsero a crescenti misure repressive, e lo stesso Winston Churchill, nella sua veste di Segretario per le Colonie, autorizzò l’uso di agenti chimici, specie iprite, sui ribelli. Consapevole dei costi finanziari di una repressione, Churchill confidava che le armi chimiche si potevano impiegare con poca spesa contro le tribù mesopotamiche, dicendo «Non capisco perché fare tanto gli schizzinosi riguardo l’uso del gas. Sono fortemente a favore dell’impiego di gas velenosi contro tribù non civilizzate.»
Sempre tra le due Guerre Mondiali, secondo voci diffuse, la Gran Bretagna potrebbe aver fatto uso di armi chimiche anche contro le tribù di montanari afghani ostili.
L’opposizione interna e difficoltà tecniche potrebbero aver impedito l’uso dei gas in Mesopotamia (gli storici sono divisi al riguardo): le armi chimiche avevano causato così tante sofferenze in Europa durante la guerra, che per la gente del tempo il loro uso era sinonimo delle maggiori atrocità. I quotidiani, le riviste e i memoriali erano pieni di resoconti di attacchi coi gas. Negli anni venti i generali sostenevano che da solo il gas non aveva mai vinto una battaglia; i soldati lo odiavano, e odiavano le maschere antigas; solo i chimici affermavano che era una buona arma. Nel 1925 sedici delle maggiori nazioni del mondo firmarono, nell’ambito della Terza Convenzione di Ginevra, un protocollo inteso a vietare l’utilizzo dei gas tossici; gli Stati Uniti lo ratificarono solo nel 1975.
Durante la guerra del Rif, nel Marocco occupato dalla Spagna, fra il 1921 e il 1927 forze congiunte franco-spagnole lanciarono bombe all’iprite nel tentativo di sedare la ribellione berbera.
Nel 1928 l’Italia fascista utilizzò gas asfissianti come il fosgene e bombe caricate ad iprite per reprimere i ribelli in Sirtica (Libia). Nel 1935 usò l’iprite ed altre armi chimiche durante l’invasione dell’Etiopia. Ignorando il Protocollo di Ginevra firmato il 17 giugno 1925 l’aviazione militare italiana, autorizzata da Mussolini, ha utilizzato ingenti quantità di l’iprite, fosgene, arsine. Una reale stima dei danni provocati dall’impiego di tali armi è difficilmente calcolabile perché gli archivi militari sono stati resi inaccessibili dalle autorità italiane per molti anni. Per avere un’ammissione formale da parte della Repubblica Italiana dell’impiego di armi proibite nella campagna coloniale in Africa Orientale si dovrà attendere il governo tecnico guidato da Lamberto Dini in carica tra il 1995 ed il 1996.
Anche l’Unione Sovietica impiegò gas velenosi nel periodo fra le due guerre: il comandante sovietico Mikhail Tukhachevsky ricorse alle armi chimiche nel 1921 per sopprimere una rivolta di braccianti vicino Tambov. Durante la Seconda guerra sino-giapponese e la seconda guerra mondiale, l’Impero giapponese utilizzò iprite e lewisite contro le truppe cinesi. Durante questi attacchi, i giapponesi utilizzarono anche armamenti batteriologici, diffondendo intenzionalmente colera, dissenteria, tifo, peste bubbonica ed antrace. Agli ordini del generale Shirō Ishii, l’unità 731 fu incaricata di studiare e testare armi chimiche e biologiche, violando il protocollo di Ginevra che il Giappone aveva firmato nel 1925, nel quale tali armi vennero messe al bando.
Nel 2005, sessant’anni dopo la fine della guerra sino-giapponese, alcuni contenitori abbandonati dalle truppe giapponesi in ritirata vennero alla luce in siti di costruzione, causando molti morti ed infetti.
La guerra chimica fu rivoluzionata dalla Germania nazista, la quale scoprì gli agenti nervini tabun, sarin e soman. I nazisti svilupparono e produssero grandi quantità di numerose sostanze, ma la guerra chimica non venne utilizzata da nessuna delle potenze belligeranti. Documenti nazisti fecero emergere l’erronea convinzione dell’intelligence tedesca che gli Alleati fossero a conoscenza di queste sostanze, interpretando la mancanza di citazioni sui giornali scientifici americani come una evidenza che l’informazione veniva celata. Alla fine la Germania decise di non usare i gas nervini in combattimento temendo una devastante rappresaglia condotta con le stesse armi da parte degli alleati.
William L. Shirer scrisse nel libro The Rise and Fall of the Third Reich che l’alto comando inglese prese in considerazione l’uso di armi chimiche come ultima possibilità difensiva nell’evenienza di un’invasione nazista del suolo britannico.
Sebbene, come sopra detto, le armi chimiche non furono usate su larga scala durante la seconda guerra mondiale, furono registrati sporadici attacchi da parte delle forze dell’Asse quando non c’era timore di una rappresaglia:
Nel 1944 il Gran Mufti di Gerusalemme, Amin al-Husayni, capo degli arabo-palestinesi ed alleato di Adolf Hitler, sponsorizzò un attacco con armi chimiche contro la comunità ebraica nella parte di Palestina da loro occupata. L’attacco si rivelò però un insuccesso. Cinque paracadutisti furono forniti di mappe di Tel Aviv, di contenitori di una «fine polvere bianca» fabbricata in Germania e di istruzioni dal Muftī che ordinava la dispersione di queste polveri nelle sorgenti d’acqua della città. Il comandante del distretto di polizia Fayiz Bey Idrissi ricordò più tardi che «le analisi di laboratorio mostrarono che ogni contenitore portava abbastanza veleno per uccidere 25.000 persone, e furono trovati almeno 10 contenitori.»
I nazisti usarono l’insetticida Zyklon B, contenente acido cianidrico, per uccidere un alto numero di ebrei e di altre vittime nei campi di concentramento come quelli di Auschwitz e Majdanek durante l’Olocausto.

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