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L'evoluzione della narrativa

Il romanzo moderno si afferma agli inizi del Settecento in Inghilterra, inaugurando le forme della narrativa del secolo a venire, raggiungendo il massimo sviluppo nel XIX secolo. Si possono distinguere tre tipi fondamentali:

  1. Il romanzo epistolare inaugurato da Samuel Richardson con Pamela (1740-1742).

  2. Il romanzo pseudo-autobiografico inaugurato con Robinson Crusoe (1719) di Daniel Defoe.

  3. Il romanzo “epico”, il cui principale esponente è Henry Fielding con Tom Jones (1749), narrato in terza persona da una voce fuori campo di un narratore anonimo, esterno e onnisciente.

In Italia nell’Ottocento si ha ancora il romanzo epistolare di Foscolo con l’Ortis (1802), ma non sarà destinata a durare a lungo. La forma predominante sarà la terza, come nei Promessi Sposi di Manzoni, il quale adotterà il modello del romanzo storico di Walter Scott (Ivanohe – 1819). Per tutta la prima metà dell’Ottocento, dunque, il romanzo italiano è quasi esclusivamente sul modello manzoniano. Non mancheranno però esempi di romanzo in forma pseudo-autobiografica, in cui il protagonista racconta la propria storia (ad esempio Le Confessioni di un Italiano di Ippolito Nievo).

Forme simili di romanzo vengono adottate anche in Francia dai due grandi romanzieri Balzac e Stendhal.

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A partire dalla seconda metà del Settecento si iniziò a diffondere in Inghilterra un nuovo genere di romanzo: il romanzo nero, o, traducendo propriamente dall’inglese, romanzo “gotico”, per indicare il gusto per l’orrido e il tenebroso, antitetico a quello classicista, proprio come nel Medio Evo “gotico”.

Questo nuovo stile si collega alla teoria del sublime di Edmond Burke (1729-1797), che individue un particolare sublime “del terrore”, scaturito da soggetti cupi e terrificanti che, attraverso il terrore generato, possono dare una forma di piacere.

È simbolo della agitazione dell’anima europea, specie in Inghilterra, dove grandi rivoluzioni come quelle politiche e industriali distruggevano assetti secolari, generando smarrimento e angoscia. Questi sentimenti venivano proiettati nelle vicende dei romanzi gotici e, esprimendo la paura più profonda e inconscia, la esorcizzavano attraverso il piacere estetico. In realtà è anche probabile che la crisi dell’anima europea induceva ad abbandonare la ragione e la sua realtà, aprendo la strada all’esplorazione delle zone più oscure della coscienza, dove si agitano gli impulsi più inquietanti.

Il “nero” di questi romanzi, inteso come l’esplorazione del Male del fondo delle nostre coscienze, percorrerà tutta la letteratura moderna, in forme più sottili e più inquietanti.

Nonostante alcune prime sperimentazioni, è con il Frankenstein di Mary Shelley (1817) che il genere si solleva di livello. Il genere “nero” del mistero, l’orrore e il terrore raggiungerà il massimo livello con Edgar Allan Poe, ma elementi neri si troveranno anche in altri grandi narratori americani ottocenteschi come Melville, con Moby Dick, e il Dracula (1897) di Bram Stoker.

In Italia il romanzo nero non concorderà con i primi tempi del Romanticismo. Comparirà solo più avanti, con la Scapigliatura (secondo Ottocento), spinto dalla suggestione dei romanzi di Poe, ma alcuni elementi eri saranno riconoscibili già in opere precedenti.

 

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Diffusi nell’Ottocento, i romanzi storici sono opere narrative ambientate ne passato, con una ricostruzione accurata dell’epoca attraverso i costumi, le usanze, le condizioni sociali e mentalità dei personaggi principali. Il romanzo trasmette così lo spirito stesso del periodo storico attraverso minuziosi dettagli e un intreccio indissolubile tra eventi realmente accaduti e documentati e le vicende narrative, creando l’effetto del verosimile. Ogni scrittore, infatti, inizia il lavoro con un attento studio documentaristico del periodo in cui vuole ambientare il romanzo.

I personaggi possono essere realmente esistiti (storici) o di invenzione.

L’origine di questo genere è solitamente attribuita al romanzo Ivanhoe (1819) di Walter Scott, che ebbe una larga diffusione in tutto il continente europeo e influenzò tuti i migliori autori del secolo. Lo scrittore non ne modernizzò la mentalità, come invece tutti gli autori precedenti facevano, bensì costruì le personalità in linea con il contesto storico-sociale dell’epoca e i protagonisti non sono più grandi eroi o individui eccezionali, ma persone umili e comuni.

In Italia il più grande esempio di tale genere è I Promessi Sposi (1827) di Alessandro Manzoni, il quale non voleva tanto intrattenere il lettore, bensì voleva farlo riflettere sul significato della Storia e la natura dei rapporti umani. Manzoni scrive: “La letteratura in genere deve proporsi l’utile per iscopo, il vero per soggetto, l’interessante per mezzo”1. È con questa formula ce si può riassumere il suo intero pensiero e il pensiero a cui si ispira tutto il Romanticismo italiano: la concezione utilitaria della letteratura, il “vero” della materia di cui si tratta (e per questo il romanzo storico), metodi di diffusione più attuali e facili per il pubblico (quindi la lingua comprensibile alla maggior parte dei lettori e un formato, quello del romanzo, di più facile lettura).

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Già nel Settecento il romanzo inglese aveva offerto rappresentazioni fedeli della realtà quotidiana della gente comune, ma i due romanzieri francesi Stendhal e Balzac elevarono tale rappresentazione ad un livello di profondità e organicità del tutto innovativi.

Infatti, per la prima volta la quotidianità delle persone di modesta condizione sociale viene rappresentata in forma seria e tragica, mentre prima era ancora offerta in forma comico-satirica o didattico-moralista, talvolta patetica. In più, i personaggi vengono collocati in un tempo e spazio precisi, che stabiliscono una connessione indissolubile tra l’individuo, le sue caratteristiche psicologiche, il suo comportamento e le caratteristiche dell’ambiente sociale immesso in un momento storico preciso e perfettamente individuato. Imitando il romanzo storico scottiano, Stendhal e Balzac trattano il presente come storia, indicando con precisione i processi storici da cui scaturiscono le azioni, i caratteri, le psicologie e gli aspetti della società. Questo gli permette una rappresentazione totale della società contemporanea. Nella Commedia Umana (1830-1856) di Balzac, addirittura, l’autore punta a una ricostruzione enciclopedica del quadro contemporaneo.

Il personaggio ha così un carattere tipico: rappresenta le caratteristiche di un determinato tipo sociale (es. il piccolo borghese che punta al successo, il commerciante, il contadino, ecc.). Al contempo questi personaggi conserveranno anche una individualità concreta e inconfondibile.

Una rappresentazione così esaustiva ed enciclopedica però diviene inevitabilmente anche critica. Le opere realiste non si limitano solo alla rappresentazione “fotografica” e neutra della realtà, ma mettono in luce criticamente le tendenze più nascoste; ad esempio la forza borghese emergente, compresa della sua volenza, il cinismo e la sopraffazione.

Nel piano narratologico, i romanzi realistici francesi adottano il modulo dominante della narrativa dell’Ottocento, dove il narratore che conduce il racconto è esterno ai fatti narrati, è onnisciente e domina la vicenda dall’alto del quadro. Questo narratore riesce a fornire al narratore tutte le spiegazioni necessarie e le digressioni esplicative e descrittive degli avvenimenti, ambienti e oggetti narrati, analizzando i progressi psicologici e fornendo le motivazioni dei loro atti. Il narratore non si limita solo a narrare e spiegare, bensì giudica anche i pensieri e le azioni, traendo da esse massime di carattere generale, rivolgendosi spesso al lettore o addirittura dialogando con esso. Questa impostazione narrativa appare come la più idonea per la narrazione di vasti quadri sociali come quelli rappresentati nelle loro opere, in quanto è l’unica che può dominare una tale complessità e pluralità di legami. Ciò rivela, quindi, una fiducia nella possibilità di dominare intellettualmente la complessità del reale. Questa visione verrà portata a compimento dal romanzo naturalista francese.

Con la crisi dei valori della seconda metà dell’Ottocento si potrà vedere che la scelta narratologica dei romanzi ricorrerà a soluzioni diverse, preferendo un punto di vista narrativo ristretto e parziale, che coincide con la coscienza di un personaggio (come in Svevo o Pirandello) o soluzioni più particolari, dove il ruolo del narratore onnisciente viene messo in crisi (come nel Verismo).

 

 

Questo romanzo è tra i più importanti nella tradizione del romanzo moderno. Il protagonista delle vicende è la figura di un giovane che si “forma” attraverso le sue vicende e diviene maturo.

La figura del giovane rispecchia a pieno il carattere della società del Sette e Ottocento, che attraversa due grandi rivoluzioni, una società caratterizzata da una mobilità e un dinamismo continuo e rapido, che genera inquietudine e insoddisfazione, tendendo sempre a ciò che non si ha. Sono queste, infatti, le caratteristiche del giovane, curioso e avido di esplorare il mondo, proteso verso il futuro. I giovani sono quindi assunti dalla letteratura come “forma simbolica” della modernità, emblema del senso essenziale della nuova epoca.

Tra i capostipiti di questa tipologia di romanzo troviamo Gli anni di apprendistato di Wilhelm Meister (1797) di Goethe. La formazione del giovane Wilhelm è una sintesi armoniosa di autonoma realizzazione della propria individualità e dell’integrazione nella società, con l’accettazione serena delle consuetudini e le norme della collettività. Questo schema ritorna anche in altri grandi romanzi dell’Ottocento, come Il Rosso e Il Nero di Stendhal, opere di Balzac e Flaubert e I Promessi Sposi di Manzoni. Tra il giovane Wilhelm e il protagonista dell’opera stendhaliana c’è però una grande differenza: il primo è ignaro della rivoluzione francese che ancora deve succedere, il secondo invece no. Essendo stato composto dopo il fallimento della Rivoluzione, nell’epoca della Restaurazione, il protagonista subisce le influenze di tale mondo e si trova costretto a doverle assorbire e, in qualche modo, accettarle. Quegli ideali che aveva conservato dalla Rivoluzione, però, lo rendono insofferente ai compromessi con l’assetto esistente e gli interessi reali entrano in contrasto con gli ideali prefissati. L’eroe che ne nasce risulta problematico e contraddittorio, incompatibile con la società circostante. Non diventerà mai “maturo”, completando il proprio processo di formazione, rimanendo sempre in conflitto con il mondo.

Altri eroi del periodo, come quello balzacchiano, hanno una totale incapacità di adattamento, che si manifesta nel loro desiderio di integrarsi, un successo fine a sé stesso; altri ancora, come quello flaubertiano, invece di affrontare la lotta con il mondo esterno, tendono alla passività, senza che accada mai nulla di risolutivo e scacciando tali occasioni qualora esse si presentino, accontentandosi di fantasticare piuttosto che di viverle.

Un caso a sé è quello del romanzo di formazione inglese. Lì la gioventù è svalutata, poiché solo passibile di sbagliare e le esperienze più significative sono quelle che confermano le scelte compiute nell’infanzia. La società inglese, a differenza delle altre europee, risulta in quel periodo come quella più assestata d’Europa, che salda insieme tradizione e progresso; perciò non vuole macchiarsi della gioventù che sperimenta il mondo con la sua avventurosità.

Ancora diverso è il caso italiano. Per quanto anche I Promessi Sposi possa essere considerato un romanzo di formazione, tra le altre cose, il giovane Renzo, eroe Manzoniano, non è un rappresentante della classe emergente, la borghesia, ma un proletario, un contadino-operaio, e la sua vicenda si svolge in tempi ben lontani dalla modernità. Per quanto anche in questo eroe ci siano ideali di giustizia sociale sistematicamente smentiti dalla realtà, a cui l’eroe è obbligato a rinunciare e accettare la realtà così come è, nella visione manzoniana essa non è una sconfitta, bensì una vittoria e una realizzazione del personaggio appartenente allo stato sociale degli “umili”. Alla fine del romanzo, infatti, Renzo si abbandona alla Provvidenza e, rinunciando a ogni velleità di lotta individuale contro le ingiustizie del mondo, ottiene la serenità dell’anima. Questo testimonia anche quanto ancora fosse lontana l’Italia dalle tematiche tipiche della modernità, standosi appena affacciando allo sviluppo economico e sociale moderno.

 

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Sull’influsso del romanzo realista e naturalista francese si sviluppa, in Italia, il romanzo Verista con capostipite Verga. Le differenze principali sono dovute anche e specialmente a un diverso contesto storico-culturale di una Italia più arretrata, che da poco si era iniziata ad affacciare alla modernità.

Dal Naturalismo francese riceve l’influsso della forma impersonale della narrazione, ma non della posizione progressista per cui lo scienziato-scrittore, attraverso la realizzazione delle sue opere, può migliorare a situazione sociale dei lettori. Il verismo verghiano è infatti caratterizzato da un profondo pessimismo, una lotta per la vita continua che governa il vivere sociale secondo la legge del più forte, ispirata dal darwinismo sociale. È totalmente assente, dunque, l’idea di un progresso sociale, un riscatto della società. Perciò, secondo Verga, è illegittima qualsiasi forma di giudizio che il narratore può avere riguardo le azioni che si susseguono nella storia.

Le due impersonalità, quella verghiana e quella del romanzo francese, risultano così profondamente diverse: l’impersonalità verghiana prevede che la storia debba sembrarsi “fare da sé”, senza avvertire la presenza di un narratore.

Il narratore verista è eterodiegetico, ma non onnisciente, immerso nel mondo di cui narra attraverso la tecnica della regressione, condividendo il punto di vista, la lingua, i valori e la visione del reale dei personaggi dei racconti, spesso producendo lo straniamento. È esemplare l’inizio della novella Rosso Malpelo (1878): “Malpelo si chiamava così perché aveva i capelli rossi; ed aveva i capelli rossi perché era un ragazzo malizioso e cattivo”2 è evidente che rispecchia il pensiero del popolo e non quello dell’autore, ma il narratore non mette in discussione questa frase, anzi la considera valida e vera, regredendo nel contesto sociale in cui si sviluppa la novella. Il lettore, inoltre, viene immesso direttamente nella realtà della narrazione, senza una mediazione da parte del narratore, affinché “la storia sembrerà così essersi fatta da sé”3, senza che il narratore intervenga a presentare, spiegare o raccontare gli antefatti. Anche la lingua deve fondersi al contesto, utilizzando una lingua italiano colorita dal dialetto e il discorso si alterna con frequenza tra discorso diretto e indiretto libero.

 

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Sulla scia del decadentismo si delinea una nuova corrente narrativa, parzialmente contemporanea al naturalismo, ma opposta ad essa, dove trova i massimi esponenti in Francia e in Inghilterra: la narrativa estetizzante. Sebbene la matrice storico-sociale sia uguale (la società borghese di fine ‘800), le due correnti risultano assolutamente diverse: il naturalismo si sente integrato nella società e ne accetta gli orizzonti culturali, mentre i decadentisti avvertono le contraddizioni del sistema e il meccanismo di marginalizzazione dell’intellettuale.

I modelli del romanzo dell’estetismo sono Il Ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde e i romanzi di D’Annunzio, come Il Piacere.

 

 

  • Il romanzo d’appendice: o feuilleton identifica il genere letterario che propone narrazioni fitte di azione e personaggi, colpi di scena, rivolte a un pubblico vasto e generalmente non colto, da coinvolgere emotivamente. Sono romanzi che si sviluppano verso la metà dell’800, in appendice ai giornali, come romanzi “a puntate”. La tipica struttura di questi racconti è dovuta proprio alla sua particolare diffusione a puntate, con forte suspense e una netta distinzione tra i personaggi cattivi e buoni, per invogliare il lettore a proseguire nel racconto.

  • La letteratura per l’infanzia: di intento pedagogico, è esemplare l’opera di De Amicis Cuore (1886). Dato l’intento, viene utilizzata una forma particolare, quella del diario del protagonista, che mima i caratteri di un “documento” autentico, intervallato dai racconti mensili del maestro (che invece seguono stili tradizionali).

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Due fattori ben diversi tra loro caratterizzano l’evoluzione del romanzo nel Novecento: da una parte lo sviluppo industriale e la maggiore alfabetizzazione popolare porta le masse ad avvicinarsi alla letteratura, portando nuovi lettori a un genere più domandato e più facile da leggere, promuovendone la franca ispirazione popolare (portando alla creazione di più sottogeneri di romanzi, come quello poliziesco, il romanzo rosa, ecc.); dall’altra, la ricerca del bello assoluto e il rifiuto di soluzioni comuni o collaudate fanno del romanzo il terreno più scelto per la sperimentazione letteraria, quello dove la purezza sperimentale della poesia si incontra con gli archetipi della prosa, generando l’«opera d’arte totale».

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Il romanzo psicologico è un particolare tipo di romanzo che si sviluppa tra l’800 e il ‘900, nel clima della crisi dei valori che caratterizzò tutta la letteratura di quegli anni. Esso è caratterizzato, da una parte, da una regressione e una chiusura nella propria interiorità, dall’altra, da una forte esigenza di realismo. La letteratura assume il compito di autoanalisi e riflessione profonda. Gli avvenimenti della fabula risultano più deboli, focalizzando l’attenzione del lettore e dell’opera stessa sui meccanismi psicologici dei personaggi.

Il mondo interiore dei personaggi, i processi psichici e le emozioni che derivano dal profondo, gli stati d’animo e il subconscio sono i perni attorno ai quali si sviluppa questo genere letterario. Gli autori principali del genere sono Svevo e Pirandello, con le loro opere La Coscienza di Zeno (1923) e Uno, Nessuno e centomila (1926). I due autori, influenzati largamente dalle teorie del subconscio e della psicoanalisi di Freud, creano personaggi che, più che vivere nel mondo esterno e reale, compiono “viaggi” all’interno del proprio mondo interiore, appunto quello del subconscio. La via d’uscita dal mondo interiore non è facile da trovare, portando le loro riflessioni a diventare manie, pensieri fissi e angosce, che rendono la loro vita cupa e piena di paure.

Sul piano narratologico, la descrizione si sposta dal panorama oggettivo a quello soggettivo, con il prevalere della focalizzazione interna, il discorso diretto e indiretto libero e le due innovazioni del secolo: il flusso di coscienza e il monologo interiore; il primo, in cui vengono scritti tutti i pensieri che passano per la mente del protagonista, talvolta senza punteggiatura (esemplari i lavori di James Joyce e Virginia Woolf) e il monologo interiore, tecnica narrativa attraverso la quale l’autore ha la possibilità di esporre spontaneamente i pensieri, i ricordi e le emozioni dei personaggi (tra gli esponenti ci sono Arthur Schnitzler e Thomas Mann).

I racconti solitamente mancano di ordine cronologico preciso e la narrazione è interrotta da pause e arresti. Lo spazio e il paesaggio hanno ruoli secondari all’interno del racconto, diventando talvolta lo specchio dei sentimenti dei protagonisti.

 

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Il Neorealismo è una corrente letteraria e culturale diffusasi in Italia negli anni del secondo dopoguerra. Ispirati dal clima di rinnovamento e di riconquista della libertà, gli intellettuali di questo periodo rifiutano le caratteristiche ermetiche e della “prosa d’arte” e si riavvicinano al romanzo, il genere che meglio di tutti sarebbe potuto andare incontro ai nuovi bisogni culturali.

La produzione di questa corrente si richiama, a partire dal nome, al realismo ottocentesco e al verismo di Verga, con un’attenta tendenza documentaria e cronachistica della realtà contemporanea. Le loro opere sono caratterizzate da un’attenzione per il reale e i piccoli mondi regionali e locali messi in ombra dalla propaganda del regime che si esprime come una testimonianza etica e civile. Questa attenzione per le piccole realtà locali si evidenzia nelle opere attraverso le loro ambientazioni e, soprattutto, attraverso la scelta dei dialetti e delle forme linguistiche regionali per dar voce ai propri personaggi. Le trame e i personaggi, poi, riguardano periodi molo vicini al lettore: gli eventi drammatici della Resistenza al regime, le classi operaie e contadine, l’esperienza memorialistica dell’olocausto. La letteratura diventa così mezzo di denuncia e, al contempo, espressione di sé.

Nel nascente clima neorealistico del Dopoguerra, Il Gattopardo del principe Tomasi Di Lampedusa segna invece una controtendenza ancora legata al romanzo psicologico e al clima decadente nonostante la sua apparenza di romanzo storico ottocentesco e naturalistico. Sulla scia del Gattopardo si colloca un altro romanzo, Il Giardino dei Finzi Contini di Giorgio Bassani, una figura di alto spicco in questo periodo: scrittore, editore dei più grandi romanzi del tempo, politico, fondatore di Italia Nostra lottò contro il regime fascista e le persecuzioni ebraiche.

Peculiare è anche il caso di L. Sciascia, che nel corso della sua attività letteraria pubblicherà varie opere che si avvicineranno maggiormente al romanzo giallo, impostato come denunce etico sociali, descrivendo maggiormente le cause economiche e sociali dietro ai delitti, piuttosto che il processo di risoluzione degli stessi.

 

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La tendenza neorealista di rappresentare il popolo come modello portatore di valori positivi, attraverso una mitizzazione e una idealizzazione che elimina gli aspetti negativi e sgradevoli della realtà popolare, viene chiamata “populismo”. Questa tendenza, però, rende il popolo un’entità vaga e non precisamente definibile: può comprendere ogni casse sociale, dagli operai ai piccoli proprietari, agli emarginati e gli esclusi.

Nel secondo dopoguerra il popolo viene considerato come unico portatore di valori come sanità morale, integrità, senso di spontanea solidarietà umana, coscienza critica e opposizione istintiva alle ingiustizie. Sulla scia della Resistenza italiana al fascismo, il popolo diviene per gli scrittori non solo un modello ma anche il punto di partenza e di forza a cui attingere per migliorare la società. Considerando ormai la borghesia come una forza in decadenza, impedita di rinnovarsi, gli scrittori identificano nel popolo, una forza rimasta genuina e vitale, la provenienza della possibilità di riscattarsi, rinnovandosi dalle radici e vendicare antiche ingiustizie e disuguaglianze, che il fascismo aveva ormai esasperato. In questa mitizzazione, però, si nasconde il senso di colpa degli intellettuali, che cercano un’alternativa al loro senso di impotenza e inutilità, al mondo astratto della loro mente che li isola dal mondo “vero”, concreto e produttivo, rendendoli nell’incapacità di agire.

Tra i principali autori di questa corrente ci sono: E. Vittorini, per il quale il popolo rappresenta “il cuore puro della Sicilia”4 e V. Pratolini, che nel protagonista del suo romanzo Metello (1955) proietta tutte le qualità e i valori del modello proletario, che ormai la borghesia ha perduto. Anche se con accezioni diverse, rientrano tra gli autori più importanti anche A. Moravia, nonostante la sua più marcata mitizzazione della autenticità della donna, più vicina alla natura e si può identificare in essa, e P. P. Pasolini, che non cerca ciò che è sano e autentico negli strati più bassi, bensì ciò che è corrotto e turpe, per poter far emergere da ciò l’originaria bellezza e innocenza del popolo.

La smania di raccontare del periodo del dopoguerra, come osserverà anche I. Calvino, deriva dalla rinata libertà di parlare, persa durante gli anni del fascismo. Ma l’autore mosse anche un’importante distinzione fra il mero resoconto dei fatti e un’autentica espressione narrativa, alla quale corrispondeva il vero autore: la prima derivava solo dall’esigenza di esprimersi di un giovane scrittore, la seconda dalla volontà documentaristica o di informazione. L’importanza della testimonianza del vissuto si doveva rielaborare sul piano delle creazioni letterarie, attraverso cui reinventarsi. È da questo pensiero che si svilupperà anche la narrazione memorialistica.

Sulla scia del pensiero calviniano e dell’importanza delle lotte della Resistenza B. Fenoglio svilupperà alcune tra le pagine più significative e suggestive della narrativa italiana, rendendolo il maggiore esponente di questa corrente. L’opera più significativa è sicuramente Il Partigiano Johnny (1968, postumo). La resistenza è vista da lui in maniera demistificante e cruda, persino bruta: lo scopo della sua narrazione è quello di cogliere la peculiarità e l’importanza di una tale eccezionale evento, completamente distaccato dal corso degli eventi della normalità della vita.

 

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Nell’Italia ancora prevalentemente agricola del dopoguerra il mondo contadino era ancora un elemento fondamentale dell’immaginario, ricco di significati simbolici, dove proiettare sentimenti, valori e miti di cui la letteratura neorealista ha fornito la registrazione. A seconda degli autori, però, esso ha assunto significati distanti tra loro, influenzati dalle loro visioni del mondo. I principali autori di questa categoria si possono identificare in C. Pavese, che identifica la campagna con il primitivo e irrazionale, ancora legato al decadentismo, C. Levi, che nel suo libro Cristo si è fermato a Eboli (1945) rappresenta un mondo contadino ancora pagano, immerso in una dimensione ancestrale, lontano dalla storia e remoto alla modernità, atavicamente rassegnato, e Beppe Fenoglio, che però si distacca dalle opere degli altri autori, rappresentando un mondo cupo, desolato, caratterizzato dalla durezza disumana e dall’abbruttimento dei sentimenti, le sofferenze e le miserie che, inevitabilmente, inducono a violenze e altre pazzie. Anche E. Morante, nei suoi racconti, parlerà delle difficoltà del mondo contadino, esaltandone la spontanea vitalità e l’innocenza degli umili, la pietà e la commozione per le loro sofferenze.

Anche il mondo borghese viene analizzato, specialmente per il rapporto tra scrittori e borghesia, ma assume peculiari caratteristiche, legate specialmente alla condizione del paese dell’epoca. Uno dei più grandi indagatori di tale universo è A. Moravia, con il suo primo romanzo Gli indifferenti (1929) e la maggior parte delle sue opere successive, che utilizza la letteratura come critica alla borghesia da cui egli stesso proveniva. Stesso tema tratta anche C. E. Gadda, uno dei più grandi narratori italiani del secondo Novecento.

 

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La memorialistica è quella forma di narrazione che si basa su fatti realmente accaduti, piuttosto che fatti inventati. In secondo luogo, i fatti narrati sono esperienze vissute dall’autore che sono rimaste impresse nella loro memoria e che sono ritenuti degni di essere raccontati. Sono vari gli scopi di tale narrazione: a volte vengono scritti solo per sé stesso, per tenere in vita il ricordo, oppure per chiarire il loro senso e gli effetti che ha avuto su di loro l’evento della narrazione, attraverso il filtro della scrittura; altre volte, però, sono destinati alla pubblicazione, perché ritenuti carichi di significato, utili come esempio e istruzione per gli altri, o come denuncia degli eventi e degli aspetti più negativi della realtà. I fatti narrati possono essere sia esterni, appartenenti alla vita collettiva e sociale, al percorso della storia, sia interni e squisitamente personali; spesso, però, i due aspetti sono finemente intrecciati e impossibili da separare e la narrazione è volta a mettere n luce esattamente questo loro legame.

Le forme della narrazione sono molteplici: il più completo, che ripercorre l’arco di una vita intera, è l’autobiografia; anche il memoriale è uno stile diffuso, che racconta un breve arco di vita, solitamente il più importante; rientra anche la forma del diario, annotato in contemporanea allo svolgersi dell’esistenza. Alcuni tipi di epistolografia vengono considerati memorialistici, nel caso dovessero essi trattare di un’esperienza vissuta.

Un esempio importante della memorialistica in forma di diario è quello di C. E. Gadda, che, durante la sua permanenza al fronte nella Prima guerra mondiale prima e la prigionia in Germania dopo, tiene un diario annotando la sua esperienza. Questo verrà pubblicato come edizione completa nel 1965 con il nome di Giornale di Guerra e di Prigionia. Nel diario sono presenti pagine di denuncia, ricche di sdegno e rabbia.

Un altro esempio importante è il racconto dell’esilio a Lucania degli anni Trenta inflittogli dal regime per le sue posizioni antifasciste di C. Levi, descritto in resoconto nel suo libro Cristo si è fermato ad Eboli (1945), in aggiunta alla analisi critica della piccola borghesia locale, mossa dalle proprie posizioni di intellettuale illuminato e progressista, e all’apprezzamento e l’accostamento ai valori umani e mentalità del mondo primitivo dell’ambiente contadino del Sud.

Di importantissima menzione è ili libro di Primo Levi Se questo è un uomo (1947), dove l’autore ricorda la sua deportazione nel Lager di Auschwitz, descrivendolo con pacata fermezza da scienziato, ricostruendone il funzionamento con mirabile lucidità.

 

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Con l’avvento del mercato culturale, anche la narrativa ha fruito delle dimensioni planetarie, che hanno portato alla riscoperta di intere realtà geografiche precedentemente trascurate.

Successivamente all’insegna del postmoderno e della contaminazione di vari stili e generi, si è affermato una corrente che concilia la qualità letteraria con i temi che più fanno presa sul pubblico.

È in questo periodo che si diffondono i romanzi delle donne e dei “giovani scrittori”, con cui solitamente e impropriamente venivano etichettati scrittori non esordienti e di una età più matura.

In gran parte di questi romanzi si può notare l’influenza di Calvino, reinterpretato come una elegante via d’accesso rapido alla letteratura commerciale, o un ponte verso altri media, da cui hanno imparato a ricavare un più diretto ricorso alle soluzioni comiche e il termine medio tra la prosa e la poesia, o addirittura come strumento per innalzare al livello della poesia anche il romanzo.

Altri autori, invece, si distaccano completamente dal Neorealismo e da Calvino, preferendo addirittura Moravia o Pasolini a lui.

Il romanzo nero

Il romanzo storico

Il romanzo realista

Il romanzo di formazione

Il romanzo verista

Il romanzo decadente dell'esteta

Romanzi minori dell'800

Il romanzo nell'900

Il romanzo psicologico

Neorealismo

Neorealismo di resistenza 

Neorealismo contadino e operaio

Neorealismo memorialistico

Il romanzo contemporaneo

L'evoluzione della narrativa
Il romanzo nero
ll romanzo storico
Il romanzo realista
Il romanzo di formazione
Il romanzo verista
Il romanzo dell'esteta
Romanzi minori del'800
Il romanzo psicologico
Neorealismo
Il romanzo contemporaneo
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